Chef Rubio ama spiazzare: primo sexy chef tatuato della tv italiana, con i baffi a manubrio e un passato da rugbista, ha trasformato il mangiare con le mani in un marchio di fabbrica, rivoluzionando il galateo. D'altronde, per lui, utilizzare le forchette è «come fare l'amore usando il preservativo». Quando tutti si affannavano a proporre macchinosi piatti stellati, lui è sbarcato in tv con Unti e bisunti per riabilitare il cibo da strada e la cucina sana. E c'è riuscito. Già che c'era ha anche avvicinato alla buona cucina quella fetta di pubblico maschile che di pentole e fornelli non ne voleva sapere, figuriamoci di culture culinarie locali, etniche e straniere.

Ora, dopo tre stagioni e all'apice del successo, Chef Rubio ha deciso di mettere la parola fine al ciclo Unti e bisunti. Come dicevamo, ama spiazzare. Ovviamente si congeda con i fan del programma a modo suo, ossia con il film Unto e bisunto – la vera storia di Chef Rubio, in onda il 20 dicembre in prima serata su Dmax (canale 52 del digitale terrestre). La pellicola (diciamolo subito) è tutto fuorché realmente biografica. La storia narra infatti di uno chef (Rubio), trascurato come un Wolverine qualunque del futuro, che ha deciso di allontanarsi dai riflettori e vivere da pescatore. Il nostro ha un dono, ossia il Palato assoluto: una sorta di super potere che gli permette di riconoscere gli ingredienti dei piatti al primo assaggio. Insomma, una storia decisamente fantasy e pop, dai toni sopra le righe e paradossali. Tuttavia è proprio questo che piace di Chef Rubio: la capacità di promuovere con competenza e simpatia la cultura del cibo senza per questo ricordarci (come fanno molti chef…) quanto sia grande il proprio orgoglio stellato. Non si tratta comunque di un addio: Chef Rubio sta già girando la seconda stagione de Il ricco e il povero, e in libreria è appena uscita la raccolta Le ricette di Unti e Bisunti, edito da Rizzoli.

E se il vero super potere di Chef Rubio fosse invece la spiccata autoironia? È una dote rara tra i suo colleghi chef …

Non mi curo di come si comportano quelli che lei chiama miei colleghi. L'autoironia è sempre stato un mio tratto caratteriale. Certo, quando mi occupo di cucina mi prendo molto sul serio, ma se si tratta di realizzare un programma di intrattenimento sono il primo a lasciarmi andare e a divertirmi.

Non è da tutti lasciare uno show proprio all'apice del successo: cosa l'ha spinta a prendere questa decisione?

Credo sia normale che alcuni cicli, così come sono iniziati, finiscano: sta nell'ordine delle cose e, personalmente, mi piace mettermi sempre in gioco. Nel caso specifico di Unti e bisunti, non avevo più energie per andare avanti, ma è stata una scelta dettata anche dal senso di rispetto verso lo spettatore: si sono verificate alcune dinamiche che mi hanno fatto capire che non si andava più tutti nella stessa direzione. Così, ho preferito cambiare strada.

Quali sono i progetti in cantiere?

Ancora non lo so perché non dipende esclusivamente da me, ma anche dal canale e dalle eventuali proposte che riceverò: ci sono molte idee sul tavolo.

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Resterà comunque nell'ambito dei programma legati alla cucina, giusto?

Non necessariamente: so fare anche altre cose. Sicuramente la mia mansione principale è quella del cuoco, ma se ci fossero le condizioni giuste potrei anche esplorare altri filoni. Non escludo nemmeno il web.

Com'è cambiata la vita di Chef Rubio dopo tre stagioni di Unti e bisunti?

Dal punto di vista caratteriale, non sono cambiato di una virgola. Il mio stile di vita, invece, è stato stravolto. È un continuo muoversi: non che prima non fosse così, perché ho sempre amato viaggiare, ma ora è dieci volte più veloce. Inoltre per dedicarmi a questo mestiere ho lasciato da parte qualsiasi relazione, affettiva e di amicizia. D'altronde è diventato logisticamente complesso incastrare i miei impegni con quelli degli amici: gli incontri e le mangiate insieme sono sempre più sporadiche.

È un prezzo molto alto da pagare…

Non per chi ama stare da solo. Forse, se mi sono scelto questa vita, è perché in fondo mi piace. Se non mi andasse bene, non avrei problemi a mollare tutto e cambiare.

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Parliamo di cucina. Com'è nata l'idea di mangiare con le mani?

Quando abbiamo iniziato a girare Unti e bisunti, la produzione mi propose di mettermi un cucchiaio o una forchetta nel taschino. Risposi: «Non se ne parla! Mangio con le mani». Tra l'altro il cibo da strada va mangiato con le mani: te lo passano così, e non hai certo le posate a disposizione. Dopo un attimo di titubanza, la produzione ha accettato la mia idea che si è rivelata una mossa vincente.

A suo avviso, qual è la cucina migliore al mondo?

Quella orientale.

Rottamiamo il mito del made in Italy?

Dal punto di vista dello stile (non parlo di gusto) la cucina italiana è molto simile a quella orientale quando rispetta i principi della mediterraneità: massimo due, tre ingredienti e tecniche di cottura veloci. Purtroppo spesso li stravolgiamo per scimmiottare la cucina americana.

A dicembre scatta la psicosi del pranzo di Natale e, dalla tv ai libri, i consigli in materia si sprecano. La sua ricetta perfetta?

Quello che conta è stare con i propri cari e con le persone che ti vogliono bene, al di là del menù. Non credo sia fondamentale mangiare piatti memorabili se poi a tavola ci si parla a stento o si sta incollati ai social network.

Oggi uno dei temi caldi è la politica: come spiega la vittoria di Trump, la Brexit e, in casa nostra, il caos post Referendum?

Sono tutte scelte figlie dell'ignoranza, che purtroppo non mi stupiscono. Stiamo vivendo in un'epoca dove l'istruzione va calando, per questo si dà il potere ai leader che fanno del populismo la propria bandiera. È un problema prima di tutto culturale. Però, guardi, io non credo nemmeno che si faccia politica con le interviste e le chiacchiere da bar. Personalmente preferisco farla facendo del bene con i mezzi che ho.

Per questo è sempre in prima linea in molte campagne sociali, come la Maratona dei diritti umani di Amnesty International?

Esatto, anche se non mi interessa essere il primo della classe: vorrei che fossimo in centinaia e centinaia ad aiutare il prossimo con opere di bene.

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