È nelle sale con Zeta, docufilm sul rap italiano e fa un cameo in Lo chiamavano Jeeg robot, ma Salvatore Esposito, 30 anni, nato a Mugnano di Napoli, per tutti è Genny Savastano, star della seconda stagione di Gomorra, la serie tv in onda su Sky Atlantic, accolta benissimo dalla critica e venduta in 130 Paesi.

Si immaginava questo successo?

No, però lo sognavo. Volevo interpretare un ruolo in una serie tv di successo internazionale. E ora che ci sono riuscito posso dire: è una cosa fantastica che mi lascia senza parole.

Sei anni fa lavorava al McDonald, oggi è una star: si sente un eroe positivo?

I ragazzini per strada mi chiamano Salvatore e non Genny come il personaggio che interpreto: vuol dire che io sto arrivando dritto al cuore dei giovani e la mia storia può dare loro la forza di realizzare quello che sognano. Che non per tutti vuol dire diventare attore, ma magari aprire un'attività in proprio.

In questa seconda stagione, ha detto Roberto Saviano, sono raccontati i meccanismi del potere: come si apre una piazza di spaccio o si pianifica una esecuzione. 

Se allo spettatore sveli i trucchi del mago lui perde potere e credibilità, non c'è la fascinazione del gioco di prestigio. Citando Martin Luther King, «nascondere il male vuol dire esserne complici».

Cosa lascia interpretare il male?

La consapevolezza di quanto sia fondamentale il bene, l'amore. Quando sullo schermo sei un uomo senz'anima come Genny Savastano racconti di un mondo che non auguri a nessuno, dunque capisci quali sono le forze di cui non puoi fare a meno: per me è un accrescimento.

Lei aveva letto Gomorra, il libro? 

Sì, tutti sapevamo che cosa accadeva, ma solo Roberto Saviano lo ha scritto sacrifcando la sua libertà: per me è un eroe.

Fidanzato? Sposato?

La prima. Sono felice con Paola che è di Salerno e sta per laurearsi in Giurisprudenza: prima ci facciamo una posizione e poi vediamo che succede.