La fiction Rai del 2018, se parte con questi presupposti, parte benissimo e l'elenco delle serie TV da non perdere a gennaio si allunga. Forse fino a qualche anno fa non ci saremmo mai aspettati di vedere una storia come La Linea Verticale, già disponibile per intero (sono otto episodi da 25 minuti circa ciascuno) su RaiPlay e che Raitre manda in onda al ritmo di due episodi a settimana ogni sabato sera alle 21:15 dal 13 gennaio. Finalmente, qualcuno ai piani alti di Viale Mazzini si deve essere accorto che sì, anche nella fiction si può (e si deve osare), andando a rompere uno dei tabù più intoccabili della tv italiana: ridere della malattia.

Non fatevi spaventare dall'ambientazione ospedaliera della serie: è vero, il 99% della trama si svolge tra le stanze ed i corridoi di un ospedale romano, dove è ricoverato il protagonista Luigi (Valerio Mastandrea), letteralmente catapultato da un giorno all'altro in un mondo che prima aveva sempre visto da lontano. Ma a fare la differenza non è il dove viene raccontata la storia, ma come.

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Luigi scopre di essere malato, e deve essere subito operato: una vicenda, questa, che trae ispirazione da quella di Mattia Torre, lo sceneggiatore della serie, che ha voluto anche in questo modo esorcizzare quanto gli è accaduto qualche anno fa. E Torre, che già in passato ha creato un'altra fuoriserie come Boris, sa fare questo mestiere solo in un modo: facendo ridere e riflettere.

La Linea Verticale da dramma dalla lacrima facile si trasforma fin dai primi minuti del primo episodio in una commedia dal sapore agrodolce, che riesce a farti sorridere ed, il secondo dopo, a farti scendere la lacrimuccia. Perché per raccontare un argomento come la malattia e la vita in ospedale c'erano due strade: quella della retorica e quella, più realistica, della risata che nasce anche da una situazione potenzialmente drammatica.

Torre, aiutato da un cast eccezionale (in primis Mastandrea e Greta Scarano, che interpreta sua moglie, ma degni di nota sono anche Giorgio Tirabassi, Ninni Bruschetta e Paolo Calabresi), costruisce un racconto che ride in faccia al buonismo di certe fiction ospedaliere, riuscendo con un risata ad essere più realistico di tante docuserie che giocano con l'inquietudine e la stranezza di alcune malattie.

Negli Stati Uniti la chiamerebbero dramedy (ovvero un misto tra drama e comedy), noi preferiamo chiamare La Linea Verticale commedia della vita. E per mettere in scena una rappresentazione della malattia che faccia ridere, serviva qualcosa di totalmente nuovo. Metti un malato che ancora deve assimilare il suo nuovo status di paziente; metti una moglie, incinta, che deve essere la roccia di Luigi ma che si vede dal primo sguardo che ha più paura di lui; metti una gang di personaggi, tra pazienti, caposala e medici, che sembrano vivere nel mondo più normale possibile e che amplificano la sensazione di estraneità del protagonista.

Metti tutto questo ed otterrai La Linea Verticale, che prende la malattia e ci ride su, con un importantissimo dettaglio: non è mai (ma davvero, mai) sopra le righe o fuori luogo. Nessuna delle battute e delle situazioni che Torre racconta possono essere fraintese o considerate di cattivo gusto, ma sono, invece, tutto realistiche e vicine ai veri malati, che finalmente si vedono rappresentati in tv senza la musica strappalacrime in sottofondo o il primo piano sugli occhi sbrilluccicanti dei parenti. La Linea Verticale è tutto questo, ma è soprattutto speranza, e la speranza deve saper anche far sorridere. Vi sembra poco?