Sì, cari tutti, stiamo per spoilerare senza pietà su tutta la seconda stagione di Tredici, messa on line da Netflix dal 18 maggio, quindi se siete stati così occupati, a differenza nostra, da non avere ancora avuto il tempo di fagocitarla, sintonizzatevi pure sul Rolland Garros o sul toto-governo, a seconda del vostro grado di masochismo. E, parlando proprio di masochismo, partiamo con il dire che se la prima stagione del fenomeno seriale del 2017 con protagonista un'adolescente suicida, interpretata dall'australiana Katherine Langford (che non sappiamo come farà mai, povera lei, a scrollarsi di dosso la lunga ombra di Hannah Baker), non era certo una sferzata di ottimismo e joie de vivre, la seconda è pure peggio. Ma questo, se vogliamo, è un punto a favore di un proseguo di una vicenda che poteva tranquillamente considerarsi conclusa con quelle prime tredici puntate, e che, invece, nel rincaro di dramma trova linfa vitale.

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Ma come, direte voi, una serie così discussa e così contestata proprio per la drammaticità dei temi trattati(oltre la già citato suicidio ci sono violenza sessuale, uso di droghe, bullismo, adolescenti e armi e via allegramente così) ha scelto addirittura di alzare il tiro? Sì, per fortuna ha scelto il coraggio, pur con tutto un corollario di (dovuto e sensato) politically correct, a partire dall'avviso molto esplicito circa la forza e la delicatezza dei temi trattati, e del video messaggio in cui gli attori protagonisti mettono la faccia in un appello per tutte le persone in difficoltà che si trovassero a guardare la serie. In più si è pensato di offrire concretamente aiuto e supporto, tant'è che ogni episodio termina con il rimando a un sito pensato proprio per offrire una spalla ad adolescenti in crisi.

Ma, senza ulteriore indugio, veniamo al succo della faccenda, ovvero la nuova trama di Tredici, che, alcuni mesi dopo il tragico evento, prende vita da due trame portanti: il processo che vede i genitori di Hannah accusare la scuola di quanto accaduto, e la sete di giustizia (nonché l'ossessione maniacale) di Clay per l'amata perduta. Ecco, da questi due nodi narrativi, si dipanano tutte le altre vicende, alcune più, altre meno azzeccate, ma tutte volte a un unico obiettivo molto a fuoco: raccontare ciò che accade dopo, in termini concreti ma soprattutto emotivi, tra gli amici e i nemici di Hannah che le sono sopravvissuti, ma ora devono elaborare quella sopravvivenza. E se nella prima puntata abbiamo tentennato, se non quasi ceduto all'impulso di mollare tutto, di fronte all'espediente di far tornare in scena la protagonista rendendola una specie di visione, o fantasma, o proiezione delle paure e indecisioni di Clay, a posteriori possiamo dirci soddisfatte di aver tenuta botta, perché Tredici 2 è meglio del previsto, per queste 5 validissime ragioni.

  1. L'indagine psicologica fa un passo avanti. Anzi: non lascia quasi respiro. Rispetto alla prima stagione, lo scavo, qui, è instancabile, e ogni personaggio acquista realtà e verità, smarcandosi parecchio dalla "macchietta" che era stato (il gay pettegolo, il nerd, la cheerleader affamata di popolarità), per diventare un essere umano quasi tangibile.
  2. Anche il coraggio fa un passo avanti. E non parliamo tanto del momento "MeToo", quello, cioè, in cui Jess decide di testimoniare contro Bryce per la violenza subita e diventa via via tutte le protagoniste femmine della serie, ma quanto della scena (tanto, tantissimo contestata) della violenza sessuale che, attenzione, un maschio subisce, da parte di altri maschi, e oltretutto tra le mura di una scuola sotto processo. Ecco, per quanto altamente disturbante, quel momento di Tredici è oltremodo coraggioso, primo perché queste cose agghiaccianti accadono davvero, secondo perché fa entrare in empatia (ancor più di quanta era accaduto con il personaggio di Hannah) con la vittima totale che potrebbe diventare futuro carnefice.
  3. Gli adulti, o meglio alcuni, migliorano. Lo fa la madre di Hannah, lo fa, almeno in piccola parte ma è già qualcosa, la madre orrenda di Bryce, lo fa il professor Porter, lo fa il padre di Jess e soprattutto i genitori di Clye, che adotteranno il pentito, ma tossico ahinoi, Justin. Certo, molti altri, dalla madre del già citato Justin al preside al disgustoso coach e al pessimo padre di Bryce peggioreranno solo, ma la verità può far male lo sai.
  4. Non c'è il lieto finale. A fine stagione la scuola non subisce alcuna pena, Bryce ne riceve una ridicola, la mamma di Hannah serata dal marito se ne va, il bullizzato Tyler lo è ancor più e Justin non esce dalla dipendenza da eroina. Sembra quindi che finisca tutto “male”, se non fosse che, ancora una volta, la seconda stagione di 13 Reasons Why non punta a rassicurare e a far vedere che i cattivi finiscono in prigione e i buoni vivono felici e contenti, quanto piuttosto a mostrare che la vera vittoria è la crescita, la comprensione e un ritrovato equilibrio per se stessi.
  5. Il finale è aperto. Perché mentre ci aspettiamo una strage da parte dell'ormai ridotto al limite Tyler, ecco Clay afferrare il fucile e convincerlo a scappare, mentre le sirene della polizia si fanno più assordante e il nuovo, vero protagonista di una possibile, probabile terza stagione rimane lì, senza fantasmi a ronzargli attorno, ma con un'arma da fuoco tra le mani.