Giù il sipario sulla 68ma edizione della Berlinale, che ha premiato un gran numero di donne, tra registe, attrici, e riconoscimenti tecnici.
A partire da Adina Pintilie, regista trentottenne rumena che si è aggiudicata contemporaneamente l'Orso d'oro e il premio Opera prima per Touch me not, in realtà fischiatissimo dalla platea berlinese, docudrama che, tra fiction e realtà, aspirazioni e paure, indaga sul desiderio e sull'intimità.
Mentre il Gran premio della Giuria è andato a Mug, della polacca Malgorzata Szumowska, storia di un uomo che si sottopone a un trapianto facciale, satira macabra sulla Polonia di oggi cattolica e individualista.
Il verdetto ha premiato altre registe per le categorie dei documentari (Ruth Beckermann per Waldheims Walzer) e dei corti (Ines Moldavsky per The Men Behind The Wall), la costumista Elena Okopnaya (per il contributo artistico al russo Dovlatov).
Il gettonatissimo Isle of dogs di Wes Anderson si è dovuto accontentare del premio alla regia, mentre quello alla miglior sceneggiatura è andato a Manuel Alcalá e Alonso Ruizpalacios per Museo di Alonso Ruizpalacios.
Tornano a mani vuote gli italiani: l'Orso d'argento per la miglior attrice, cui aspiravano Valeria Golino e Alba Rohrwacher per Figlia mia di Laura Bispuri, è stato vinto dalla brava Ana Brun di Las herederas di Marcelo Martinessi. Nessun riconoscimento neppure per La terra dell'abbastanza dei due esordienti Fabio e Damiano D'Innocenzo, alla Berlinale nella sezione Panorama.
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Un risultato con un rischioso effetto boomerang: il verdetto "rosa" della Berlinale, il più impegnato tra i festival cinematografici, ha scontentato gran parte della critica, che non ha esitato a classificarlo come "deriva del #MeToo", come se la ridda di artiste premiate costituisca di per sé un'anomalia. Senza entrare nel merito delle scelte dei giurati, una cosa è certa: abbiamo ancora molta strada da percorrere.