«A Fortunata!». Seduto ai tavolini del bar, Marco saluta l'amica Jasmine Trinca con quel piglio da sfottò sornione che solo i romani. La riconosce anche col cappello e gli occhialetti da John Lennon, la chiama col nome del suo personaggio nel film di Castellitto, Fortunata appunto, che sarà al Festival di Cannes (dal 17 al 28 maggio 2017) e penso subito a un collega di set. Me lo figuro fonico, cameraman, microfonista. Invece no. Marco, mi spiega Trinca, è il gommista del rione. «Qui lo conosciamo tutti», dice fermandosi per un caffè prima che la figlia esca da scuola. Dove «qui» è Testaccio, il quartiere in cui Jasmine vive fin da bambina – operaio nei '60, degradato negli '80, oggi terra di movida hipster e spesa bio – e quel «tutti» indica un noi che è comunità, appartenenza, radici. Famiglia. «La lotta di Fortunata per sbarcare il lunario e crescere una figlia io la conosco. Era la lotta di mia madre, qui a Testaccio».

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Jasmine Trinca con Sergio Castellito e Stefano Accorsi.

Fortunata è il suo secondo film con Castellitto.

Ci sono arrivata la prima volta con un provino, venivo da tutto un altro mondo. In giro si pensava che non fossi fatta per certi ruoli, per certi autori. La stessa Mazzantini mi ha confessato che all'inizio pensava che fossi una palla al piede.

E perché?

Credo di dare l'impressione di essere una noiosa. E dire che io penso di avere solo due qualità: essere buona e avere senso dell'umorismo. E invece niente. Passo per quella noiosa. E poi borghese, di buona famiglia.

E non è così? La buona famiglia, intendo.

Non avrò un background proletario, ma mia madre lavorava dalla mattina alla sera e mi ha cresciuta da sola. Ha lavorato in un centro veterinario, poi in tipografia e per 15 anni ha fatto la dimafonista al Manifesto: di notte chiamavano i giornalisti per dettarle i pezzi.

Di lei dicevano pure che era l'attrice di Moretti.

E lo dicono ancora. Nonostante sia passato tanto tempo e con Nanni non ci frequentiamo, l'incontro con lui è stato decisivo. A me resta il piacere profondo di averlo incontrato.

Anche lei, come Fortunata, è una mamma single.

In una situazione migliore. Faccio un lavoro artistico, guadagno. Cerco di godere del fatto di avere una vita più comoda di quella che ha avuto mia madre.

Che l'ha cresciuta in una casa senza specchi. Anche lei con sua figlia?

No, Elsa ha una tendenza spiccata a guardarsi. A casa ho un armadio in cui conservo scarpe col tacco e vestiti, diciamo, di rappresentanza. E lei ogni tanto va là, apre le ante e si prova le scarpe. Detto questo, io cerco di farle dei discorsi.

Del tipo?

Quando ha avuto il periodo in cui voleva essere una principessa le ho spiegato che esistono principesse diverse, tipo le principesse guerriere. Quando voleva vestirsi solo di rosa, anche là è stata una lotta. E poi insisto sul fatto che non esistono giochi da maschio e giochi da femmina.

E lei che dice?

«Sì mamma, me l'hai già detto».

Anche Fortunata è, in qualche modo, una principessa...

Una principessa che si salva da sola. Forse questa storia dovrei raccontarla a Elsa depurandola da qualche scenetta osé.

Le scene di sesso nel film l'hanno imbarazzata?

Sì, ma la cosa che mi ha imbarazzato di più è il lavoro sul corpo di Fortunata: le minigonne, gli zepponi, i capelli ossigenati, la postura. C'è una scena, un omaggio a Mamma Roma, in cui cammino a petto in fuori lungo l'acquedotto. Quasi non riesco a rivederla.

Il matrimonio di Fortunata finisce male. La figlia soffre. Farebbe vedere questo film a Elsa?

Elsa adesso ha completamente assimilato la nostra situazione in famiglia. Credo che con il suo papà siamo stati bravi. Penso sia molto importante ricordare al figlio che vuoi molto bene all'ex partner, al di là del conflitto. Lei questa cosa la sente. E comunque, sa una cosa? Non è che i miei film abbia tutta questa voglia di vederli...