Metti insieme due donne, anche sconosciute: sostiene Isabella Ragonese che sapranno tessere un trattato sulla vita e sull'amore in una manciata di chiacchiere, una tela fitta di sorellanza e intimità. Con un po' di presunzione è forse quello che succede nell'ora scarsa che trascorro con l'attrice palermitana scoperta da Emanuele Crialese con Nuovomondo e resa famosa da Paolo Virzì in Tutta la vita davanti, al riparo tra gli archi del chiostro del Piccolo Teatro Grassi di Milano, dove lei sta terminando la lunga serie di repliche di Louise e Renée, pièce liberamente tratta dalle Memorie di due giovani spose di Honoré de Balzac, con Federica Fracassi e la regia di Sonia Bergamasco. Mentre è nelle sale Sole cuore amore di Daniele Vicari, storia toccante e drammatica in cui è una madre di 4 figli, barista e pendolare, che muore letteralmente di fatica in uno dei lunghi viaggi quotidiani tra casa e lavoro.

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Isabella Ragonese in una scena di Sole cuore amore.

La bellezza del mestiere che faccio è che in maniera quasi fisica, corporea, ti porta a riflettere sui nodi più palpitanti dell'esistenza. Quest'anno, per esempio, tutto mi attrae fatalmente verso il tema dell'amicizia femminile. Sia lo spettacolo a teatro, sia il film di Vicari affrontano in maniera diversa i legami tra donne, uno degli amori più forti e forse più maturi che possiamo vivere: perché non è legato a un contratto né a un vincolo familiare, è proprio una scelta. Le vite di due donne spesso si perdono, una mette su famiglia, l'altra parte, lavora. Ma l'amicizia spesso dura a dispetto di tutto, perché volontà e coscienza la rendono un amore puro, con mille sfaccettature e pieghe diverse.

Nello spettacolo Louise e Renée in quale di queste pieghe si indaga?

In quella delle amiche che si fanno specchio l'una dell'altra: nella storia, io e Federica Fracassi siamo due giovani donne che si sono conosciute da bambine, in collegio, e non si sono più riviste. La nostra amicizia però continua per via epistolare. Abbiamo pensato alla pièce proprio come a un foglio bianco, sul quale le due si raccontano, mettendo in scena le proprie vite.

Lei chi è delle due?

La più velleitaria, quella che insegue l'amore passionale e a volte scrive per il piacere di teatralizzare la sua vita e renderla più rocambolesca. L'amica però legge oltre le parole, interpreta le sue avventure roboanti, cercando la vera Louise tra le righe. Così come spesso capita tra donne che si conoscono bene.

Solo un'amica di lunga data è capace di rammentarti che cosa sei stata e di prendere atto di chi sei diventata.

È un dono raro infatti. Un'amica così è una testimone: è come avere un hard disk esterno che conserva la memoria di te.

E che ti rimette in carreggiata se serve, richiamandoti alle tue vocazioni vere.

L'altra però, Renée, ha anche una grande ironia: nella sua vita decisa da altri scopre che può trovare uno spazio di felicità tutto suo. La gioia di un figlio o la scoperta che, nonostante tutto, anche con una persona di cui non sei innamorata puoi col tempo costruire un rapporto basato sul rispetto e sulla fiducia.

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Marco Laconte
Giacca smoking con ricamo di uccelli e pietre applicate, Stella McCartney; cinquetasche di denim stretch, Ovs.

Donna saggia. Non la prima né l'ultima, del resto.

Infatti il pubblico, ho compreso in questi mesi a teatro, l'apprezza di più della mia Louise, che è davvero un personaggio dell'Ottocento, un'eroina romantica e tormentata. Forse perché oggi, io me lo spiego così, l'amore totalizzante è difficile da incastrare nelle nostre vite, che non hanno sicurezza nel lavoro, né nella società. L'amore è tornato a essere un porto sicuro, la gente fa meno colpi di testa. Forse la nostra missione, in una vita che non abbiamo scelto, è ritagliarci una piccola stanza di felicità come quella di Renée.

O come quella della sua Eli, protagonista di Sole cuore amore, ispirato a un fatto di cronaca.

Affrontando quel personaggio ho sempre avuto ben presente una cosa: ecco, se lei potesse intervistarla ora per chiederle: «Sei felice?», Eli le risponderebbe di sì, a dispetto della fatica, dei quattro figli, dei lunghi viaggi, di tutti quei sacrifici.

Una felicità straziante che occhieggia già dal titolo, Sole cuore amore.

Richiama la canzone che Eli ascolta in un momento del film, ma in realtà quelle sono le tre parole che meglio la definiscono: il sole è la sua luce interiore, l'apertura verso gli altri, che le rende la vita più facile, e contempraneamente la tradisce perché non le fa sentire la fatica. Così come il suo grande cuore: Eli non concepisce l'anaffettività, è generosa con tutti, persino con il suo miserabile datore di lavoro. E poi l'amore, che investe quasi tutti i personaggi del film: cosa rimane del resto in questa giungla di vita se non le relazioni umane? L'amore di Eli per il compagno, a cui dedica gli istanti brevi e intensissimi che restano della sua giornata estenuante. E l'attaccamento all'amica del cuore, appunto, con cui scambia affetto e solidarietà.

Presentato alla Festa del cinema di Roma, il film ha infatti colpito tutti al cuore.

Sono tante le notizie di cronaca che raccontano storie simili, ma questo non crea distanza: Sole cuore amore parla di tutti noi, poveri o benestanti, di un lavoro che è cambiato, senza più diritti, sotto il giogo di un eterno ricatto: se non lo fai tu, ci sarà sempre qualcuno più disgraziato di te disposto a farlo. Lo verifichiamo in ogni momento della vita: il lavoro non ha più regole, l'unica è che te lo devi tenere stretto.

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Marco Laconte
Camicia di cotone a righe, Woolrich; pants morbidi di lino con fusciacca-nodo, Mango;sandali Michael Kors.

In un tentativo disperato e impossibile di tenere tutto assieme.

Una delle cose più strazianti è che questa donna sgobba per rendere la vita migliore ai suoi figli, ma se li ritrova già addormentati quando torna a casa, non se li gode, e questa è la condizione di tante donne che lavorano. Nello stesso tempo, gli equilibrismi di Eli ci raccontano anche quanta fatica ci voglia per coltivare come si deve l'amore, per avere cura delle persone.

Una vita piena. Eppure nei lunghi tragitti Eli ritrova tutta la sua solitudine.

È un film che parla dell'abbandono totale della società: è tutto affidato al singolo, chi ce la fa resiste, chi non ce la fa resta indietro. La politica, per come la intendo io, dovrebbe proporre un'idea di felicità. E cos'è per noi la felicità? Lavorare sì, ma avere anche lo spazio per coltivare i nostri amori, le passioni. Perdendo questo punto di arrivo, è chiaro che se non nasci in condizioni privilegiare finisci schiacciato.

Cosa le resta addosso di Eli?

Mi è capitato di nutrire per la prima volta un sentimento di enorme rispetto per il mio personaggio, mi sembra di aver interpretato una santa, un'eroina, non perché perisce, ma per l'energia, il valore quasi cristiano del suo essere sempre rivolta verso gli altri e del fare sempre le cose con amore. Questo ti toglie un bel po' di fatica e soprattutto dà dignità a tutto ciò che fai.

Mentre girava era in tournée con un'altra pièce di Sergio Rubini, Dobbiamo parlare. Sveglia alle 4, tre ore di sonno al giorno, proprio come Eli. Ora si riposerà finalmente?

Sì, vorrei fermarmi un po', ho iniziato a fare cinema tardi, dopo tanto teatro, ho lavorato molto in questi anni: il cinema è un mestiere artigianale, non lo puoi studiare sui libri, lo impari facendolo, spaziando dalle grandi produzioni a quelle indipendenti, dalle commedie ai film drammatici o in costume. Quest'anno ho interpretato tre ruoli che mi hanno dato molte soddisfazioni: una punkabbestia incinta in Il padre d'Italia con Luca Marinelli, di Fabio Mollo: una storia necessaria, forte ma piena di grazia; una manager rampante in Questione di karma; e ora una proletaria romana.

Una vera trasformista.

Certi suoi colleghi neanche mi hanno riconosciuta. Davanti a quei film me li immagino che ancora si chiedono: «Sì, ma la Ragonese dov'era?».

(Nella foto d'apartura, Isabella Ragonese indossa un blazer con revers di satin,Chanel; collana logata vintage, Chanel da Cavalli&Nastri, ndr).