È impossibile tenere dietro a James Franco. Quest'anno negli Stati Uniti usciranno venti film – 20! – di cui è interprete, regista o produttore, in alcuni casi tutte e tre le cose insieme, più un paio di serie televisive dove ha un ruolo fisso. È anche scrittore di libri, articoli e saggi, sceneggiatore per il cinema e docente universitario, protagonista di mega campagne pubblicitarie e presenza attiva sui social. Il suo account di Instagram, l'ormai leggendario @jamesfrancotv, ce l'ha mostrato in tutte le versioni possibili: a torso nudo, tatuatissimo, con la parrucca bionda o arcobaleno, in costume da bagno o in vestaglia (entrambi femminili), sbronzo, travestito da renna, da scheletro, da poliziotto. Non sono metamorfosi cinematografiche, ma esternazioni di quella personalità multipla e incontenibile che gli preclude o quasi una vita privata, dopo storie più o meno importanti con attrici più o meno note, tra cui Amanda Seyfried e la super glamour Sienna Miller. «Mio fratello minore, Tom, è felicemente accasato. Dave, il più piccolo, andrà all'altare fra un mese. Secondo la fidanzata di Tom, che è messicana, o mi sposo prima di Dave, o rimarrò scapolo a vita», ha dichiarato al Late show di Stephen Colbert. Va pur detto che non è affatto scontato che James, nel caso, sceglierebbe una ragazza come partner.

L'unica certezza sono le sue prossime sfide cinematografiche: il nuovo Alien. Covenant di Ridley Scott, accanto a Michael Fassbender (presto al cinema con La luce sugli Oceani) e In dubious battle, dramma tratto dall'omonimo romanzo di John Steinbeck ambientato ai tempi della Grande depressione, di cui è regista, interprete e produttore, insieme ad Andrea Iervolino della Ambi Pictures. Al momento però Franco è già sui nostri schermi, con la commedia Proprio lui?, nei panni del futuro genero meno raccomandabile del secolo. «Visto da fuori può sembrare così, ma dentro il mio personaggio è un ragazzo d'oro, il sogno di ogni suocero», assicura James.

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Con Zoey Deutch nel film Proprio lui?

E lei? Come la vedevano i genitori delle sue fidanzate?

I papà mi prendevano in simpatia perché ricordavo loro com'erano stati da giovani. Ma almeno una mamma non mi poteva sopportare: a suo avviso ero uno spirito smodatamente libero.

In Proprio lui? il futuro suocero è Brain Cranston (reso celebre dalla serie televisiva Breaking bad, ndr), che appare anche in In dubious battle.

Sì, ho la fortuna di recitare spesso con attori molto più bravi di me, i miei miti da ragazzo: oltre a Brian, Robert Duvall, Sam Shepard, Ed Harris, Vincent D'Onofrio.

In dubious battle parla di crisi economica e di immigrazione: due temi molto attuali.

Anche in Italia, no? Ho scelto il romanzo di Steinbeck proprio perché ci sono molti paralleli fra ciò che racconta e ciò che sta succedendo oggi, in particolare lo scontro tra classi sociali.

Uno scontro violento, a volte.

Sì, perché tutti sono personalmente coinvolti dal desiderio di cambiare le cose, nessuno è innocente, tutti finiscono per sporcarsi le mani per ottenere ciò che vogliono, anche a rischio della vita propria e altrui.

Non è il suo primo film che parla di giustizia sociale.

Cerco di capire perché gli uomini siano da sempre in guerra l'uno contro l'altro, quali siano le motivazioni che li spingono a combattere. Ma ciò che mi sta veramente a cuore è ricordare a tutti che il bisogno primario dell'uomo è amare ed essere amato.

Scrittore, regista, attore: in quale ruolo si sente più a suo agio?

Mi considero un cantastorie, un canale attraverso il quale far viaggiare un racconto. Che lo faccia davanti o dietro la cinepresa, o riempendo una pagina bianca, poco importa.

A proposito di scrittura, ha dichiarato di avere un debole per Elena Ferrante.

Mi piace moltissimo come scrittrice, ma ammiro soprattutto la sua capacità di mantenere nascosta la propria identità e di avere costruito una carriera che prescinde completamente dall'autopromozione. È una grande fortuna non dover rilasciare interviste ogni volta che esce un tuo lavoro.

C'è qualche regista italiano con cui reciterebbe volentieri?

Quelli ovvi: Paolo Sorrentino e Matteo Garrone, di cui ho amato molto Gomorra.

Qual è l'opinione più sbagliata che il pubblico ha sul suo conto?

Che io sia fuori di testa. In realtà, almeno sul lavoro, sono sempre concentrato e determinato a portare a termine i tanti progetti nei quali metto la faccia. Mi sento responsabile delle storie che racconto, soprattutto quando sono tratte da romanzi che ho adorato, di autori come John Steinbeck o Cormac McCarthy, che hanno avuto un ruolo importante non solo nella mia carriera, ma anche nella mia vita.

Pensa di poter essere anche lei un esempio per i più giovani?

Almeno sul lavoro, sì (ride). Per questo insegno, e aiuto spesso i registi emergenti, sia come produttore che come co-regista: metà dei titoli che usciranno quest'anno vedono il mio nome accanto a quello di uno sconosciuto, o una sconosciuta, perché è più facile per i nuovi autori ricevere attenzione e finanziamenti se c'è qualcuno con maggiore esperienza che copra loro le spalle e gli impedisca di cadere faccia in avanti. Ecco, per loro ci sono.