«Kim ha detto di avermi scelta per la mia umanità», ricorda Jasmine Trinca parlando del suo ruolo in Tommaso, il film diretto e interpretato da Kim Rossi Stuart, presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2016. «Io sono la fidanzata storica con cui Kim-Tommaso ha un rapporto di tolleranza, anzi di intolleranza: quel modo di relazionarsi con una persona che non si ama più, ma non si riesce a lasciare».

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Stefano Montesi
Una scena di "Tommaso".

In privato Jasmine Trinca è reduce dalla chiusura di una storia, quella con il suo compagno Antonio, padre della figlia Elsa, che oggi ha sette anni. A 35 anni prova a reinventarsi, o forse semplicemente a scoprire chi è davvero, al di là dei condizionamenti del passato. Figlia «molto più che disciplinata» di una mamma "hippie" e di un papà che «si è perso, come molti della sua generazione», l'attrice fu scoperta appena 18enne da Nanni Moretti, che la scelse tra 2.500 ragazze per La stanza del figlio.

Poi ha inanellato una serie di interpretazioni di rilievo ne La meglio gioventù, Romanzo criminale, Il caimano, Un giorno devi andare, Miele, Nessuno si salva da solo. Ora, riflette, «è ora di cambiare passo». Prossimamente la vedremo protagonista di Tutto per una ragazza, commedia tratta dal romanzo di Nick Hornby ma ambientata a Roma, ma anche ragazza-madre in Fortunata, scritto da Margaret Mazzantini e diretto da Sergio Castellitto. Sul resto (vedi vita privata) non ha le idee tanto chiare, ma non se ne preoccupa.

Cosa pensa che succederà?

Non ne ho la più pallida idea.

Questo però non sembra spaventarla.

No, mi va bene questa forma di inquietudine, di ricerca di sé, nonostante la libertà possa dare anche la vertigine. Oggi provo a vivere qui e ora. Questo non vuol dire non avere aspirazioni: vuol dire accettarsi e forse anche regalarsi un po' di pace.

Condivide la carica di umanità che Kim Rossi Stuart le attribuisce?

È un bel complimento, direi l'unica qualità che ho. A me l'idea di perfezione, le persone troppo sicure di sé danno una sensazione di panico.

Mi dica un suo difetto, allora.

Sono spesso incerta e indecisa.

In Tommaso si dice che in amore si tende a ripetere lo stesso copione. È così?

Penso sia vero in amore come, più in generale, nel modo di essere e di vivere. Credo molto nell'analisi e ho constatato, anche nel mio percorso, che la traccia nella nostra vita può essere riconoscibile, ma c'è un punto di rottura in cui avviene un cambiamento di direzione. E non avviene perché qualcuno ti apre gli occhi, ma perché tu per prima ne hai sentito l'esigenza.

Infatti il suo personaggio a un certo punto fa una scelta drastica.

Sì, inizialmente pare subire il rapporto in cui vive da tempo, ma poi si rivela capace di assumersi la responsabilità di porre fine a una storia sentimentale. Spesso è la persona che decide di interrompere la relazione a prendersi tutta la colpa, quando invece è quella che occupa la posizione più scomoda e ne soffre anche maggiormente. Viceversa, chi si riconosce nel ruolo di vittima ha forse una facilità maggiore nell'elaborare quella perdita. Penso che affrontare con lucidità la fine di una relazione sia un vero atto di coraggio, molto doloroso per chi lo compie.

Lei è coraggiosa?

Mi definirei una che, davanti alle prove, le affronta. Non è una virtù, ma la necessità di sopravvivere.

Se nessuno si salva da solo, chi salva lei?

Lo dico a malincuore perché non mi piace rivestire di responsabilità mia figlia, ma, di fatto, la maternità: l'enorme forza che mi viene da questa creaturina ha dato un senso alla mia vita, che ora guarda avanti e non più indietro.

Che tipo di madre è?

Imperfetta, con l'obiettivo di dare a mia figlia il senso della libertà di essere se stessa, al di là di qualunque questione o legame: un concetto con cui io ancora faccio i conti.

Quando sceglie i suoi ruoli pensa anche a Elsa?

Sì, anche se ho sempre voluto proporre un modello femminile non solo a mia figlia, ma in generale alle ragazze.

Anche Tommaso parla di donne.

È un film sull'ego, dunque per me senza genere.

Kim Rossi Stuart e Nanni Moretti si somigliano?

Entrambi, attraverso se stessi, raccontano le nevrosi del mondo. Non so se il rigore di Kim possa essere confrontato con quello di Nanni, ma avverto la stessa necessità.

Anche per lei si è parlato spesso di rigore.

Troppo, intende?

Non è un male: rigore non significa necessariamente rigidità.

Infatti non esclude il genere della commedia. Ne uscirà una, cui partecipo, in autunno: Tutto per una ragazza di Andrea Molaioli, tratta dal romanzo di Nick Hornby. È bello sorridere delle cose e delle persone, anzi, è fondamentale, purché dietro ci sia sempre anche un po' di sostanza.