Guillermo Del Toro, presidente della giuria di Venezia 75, era stato chiaro: “Voglio essere sorpreso”. In molti già in quella frase avevano intuito il taglio rivoluzionario che avrebbe poi dato. Succede così che per la prima volta una pellicola prodotta e distribuita da Netflix, Roma diretta da Alfonso Cuarón, trionfa all'unanimità vincendo il Leone d'Oro come miglior film.

Una conferma assoluta della piattaforma consolidata dal premio ai fratelli Coen, che vincono come miglior sceneggiatura per The Ballad of Buster Scruggs (le nostre recensioni su Elle ed Esquire) e per un ritratto/capolavoro come Roma che pochi mesi fa, al Festival di Cannes, era stato respinto (assurdamente) proprio a causa dell'impossibilità di vederlo poi in sala, cosa che invece avverrà in maniera selezionata. Roma, il quartiere di Città del Messico dove lo stesso regista è cresciuto, diventa così lo specchio in bianco nero di una autobiografia personale, culturale, politica, in cui la figura in particolare di una donna (anzi due) fa da collante a tutta la storia.

Dopo il successo di Gravity, Alfonso Cuarón porta avanti così una tendenza cinematografica che negli ultimi anni ha visto concretizzare un monopolio messicano che parte da Guillermo Del Toro, nella stagione scorsa protagonista grazie al suo The Shape of Water, e arriva ad Alejandro G. Inarritu (Birdman e The Revenant).

Come detto, però, a fare ancora la differenza di questa Mostra sono state soprattutto le figure femminili. Ne abbiamo viste molte, alcune più forti, estreme, altre maggiormente defilate, altre ancora capaci di riemergere da un passato terribile e doloroso. Impossibile non citare in questo affresco Olivia Colman, vincitrice della Coppa Volpi di miglior attrice e splendida Regina Anna ne La Favorita del greco Yorgos Lanthimos, un ruolo perfetto che ha messo d'accordo tutti (nel cast ci sono anche le bravissime Emma Stone e Rachel Weisz).

Rivelazioni e talento, quelli visti anche in due volti già proiettati ad un futuro di grande successo: Aisling Franciosi (metà milanese, metà irlandese) protagonista di The Nightingale, diretto dall'unica donna in concorso Jennifer Kent, vincitrice poi del Premio Speciale della Giuria, e Raffey Cassidy, vista in Vox Lux, dove a tratti ha quasi surclassato Natalie Portman. Senza dimenticare ovviamente Dakota Fanning, ottima regista in uno dei cortometraggi d'autore firmati Miu Miu, Marianna Fontana, protagonista di Capri Revolution, e la spumeggiante Valeria Bruni Tedeschi, una delle poche a non tirarsi indietro e raccontare di sé. Sarebbe impossibile poi lasciar fuori dalle menzioni Luca Guadagnino, ignorato nei riconoscimenti eppure sontuoso nell'omaggiare Suspiria, il classico di Dario Argento, complici Tilda Swinton e Dakota Johnson.

Se parliamo di star assolute però, non ci sono dubbi, Lady Gaga è stata quella che ha catalizzato l'attenzione mediatica più importante, cosa che forse non succedeva dai tempi in cui Madonna venne in Laguna. A Star Is Born (la recensione su Esquire), suo debutto assoluto in un film diretto da Bradley Cooper, potrebbe candidarla ufficialmente anche ai prossimi Oscar 2019, dove sarà probabile anche ritrovare Claire Foy, moglie modello di Ryan Gosling in First Man.

Tra carte vincenti e qualche flop di circostanza, Venezia 75 ha esplorato ulteriormente anche l'universo maschile con punti di vista inediti e affascinanti, a partire da The Sisters Brothers (le nostre recensioni su Marie Claire ed Esquire). Qui Jacques Audiard si è spinto in un terreno rude e violento, decostruendo gradualmente il mito del cowboy e in parte del vecchio West (c'è il grande ritorno del western) grazie a Joaquin Phoenix e soprattutto John C. Reilly, protagonisti di una storia di “formazione” in cui poter mostrare le proprie fragilità e sentimenti. Epica, morale, e valori famigliari quindi.

Ma anche realtà capaci di produrre mondi impensati, nel virtuale, con Eliza McNitt, vincitrice con Spheres, o come Anna Eriksson, musicista finlandese da oltre mezzo milione di dischi venduti e videoartista grazie a M, che indaga l'icona e ossessione di Marilyn Monroe. Il rischio, in fondo a tutto, paga sempre.