Neanche la regina Elisabetta è riuscita a fargli cambiare look il 20 febbraio scorso per la consegna dell'ambito H&M's Design award. Richard Quinn, 28 anni, ritirava dalle mani regali i circa 50.000 euro (46.000 sterline), che ogni anno il colosso svedese di fast fashion assegna ai giovani stilisti di tutte le nazionalità, impeccabile nella sua camicia di flanella a quadri, T-shirt e Nike, questa volta nere. Oltre al premio, Quinn si è portato a casa un altro primato: la presenza per la prima volta della sovrana seduta in prima fila alla London fashion week. Sembra poco, ma l'evento ha portato lo sguardo mediatico internazionale sulla sua sfilata.

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Richard Quinn con il premio ricevuto dalla Regina Elisabetta.

Laureato nel 2016 al Central Saint Martins, il prestigioso college da cui sono usciti nomi come Alexander McQueen, John Galliano, Paul Smith, Stella McCartney, Richard Quinn alle spalle non ha molto, lo ammette lui stesso, ma ha fatto le mosse giuste. Nel 2016 la collezione disegnata per la tesi di laurea non passa inosservata: per i media specializzati è nato un nuovo astro della moda. Nello stesso anno produce la sua etichetta e, da imprenditore lungimirante, fa accordi con la Epson per aprire un laboratorio-atelier di stampa digitale, dove crea le fantasie dei tessuti con cui cuce gli abiti. Userà questa tecnologia per i costumi del tour di Lady Gaga dello scorso anno e per la sua prima sfilata alla London Fashion week.

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Lady Gaga con gli abiti e i tessuti disegnati da Richard Quinn per il suo tour del 2017.

Manca ancora uno step: lo scorso novembre ha creato una mini capsule per alcuni negozi H&M a Londra, come prova, in pochi giorni è andata a ruba. Ora ne sta ultimando una nuova per gli store Debenhams sempre a Londra. E i soldi del premio li userà per aprire il digital lab ai giovani stilisti. Oggi tutti lo conoscono, anche chi nella moda non bazzica, e conoscono le sue donne dal volto coperto, avvolte in tessuti floreali, ispirate alle donne-tappezzeria di Paul Harris, designer-artista degli anni 60 di cui Quinn è grande ammiratore. «Oggi per diventare uno stilista affermato bisogna studiare molto e saper usare le nuove tecnologie», ci racconta al telefono da Parigi.

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La sfilata di Richard Quinn con le tapestry women ispirate al designer Paul Harris.

Si aspettava questo premio?

Quando ci sono state le nomination (nel novembre del 2017, ndr), è stata una vera sorpresa. Poi, di arrivare primo proprio non me lo aspettavo, mi considero troppo giovane. È stato un onore e anche un'emozione essere premiato dalla regina.

Ora che è diventato uno stilista celebre, pensa che sfilerà anche all'estero?

No, sono nato a Londra e per il momento voglio lavorare e sperimentare nella mia città: ho tanto da fare qui. Voglio creare vestiti e tessuti soprattutto a Londra e in Inghilterra, desidero mettere in pratica tutto quello che ho studiato.

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Richard Quinn in passerella con alcune modelle della sua sfilata.

Cos'ha di diverso la moda inglese?

Posso dire come la vedo io: è aperta, non ha paura di sperimentare e aiuta i giovani ad affacciarsi alla ribalta internazionale.

Su Instagram, dopo i ringraziamenti a parenti, amici, collaboratori e alla royal family, ha detto che l'istruzione è tutto nel suo lavoro.

Certo, la moda è quanto c'è di più vicino alla società. È conoscenza, è collegata ad altre discipline. Se non la studi come fai a capirne l'evoluzione? Frequentare il Saint Martins mi ha dato questa visione globale. Poi mi sono specializzato nei tessuti e qui è fondamentale la conoscenza tecnica e tecnologica della materia.

E la creatività?

Quella devi averla dentro: la tecnologia non la disturba, anzi la rafforza.

Ed è quello che sta facendo grazie al suo accordo con la Epson, ovvero stampare i suoi tessuti in laboratorio con una stampante industriale?

Sì, questo mi dà la grande libertà di creare da solo quello che ho in mente: io disegno la fantasia al computer, guardo che effetto fa la composizione, stampo una prova e, se non vanno bene la luce, le ombre, l'abbinamento dei colori, correggo al volo. È il nuovo modo di confezionare un vestito in modo artigianale. Non solo cucirlo, ma anche crearlo dal tessuto.

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Richard Quinn nel suo atelier laboratorio accanto alla stampante Epson con cui realizza le fantasie dei suoi abiti.

Ma non è più difficile essere uno stilista in un'epoca digitale, in cui tutto va più in fretta?

No, perché non sei solo: la tecnologia ti aiuta e se c'è, perché non usarla?

Le piacerebbe vestire la regina Elisabetta?

Sarebbe un onore, ma il suo stile va bene così com'è. Non ha bisogno di cambiare. Oltre al fatto che non potrebbe farlo per evidenti ragioni.

Vorrebbe fare l'abito da sposa di Meghan Markle?

Sognare si può sempre, ma penso sia proprio impossibile.

E come definisce lo stile di Kate Middleton?

Perfetto, ha portato la moda a palazzo e lei stessa è diventata di moda.

Chi è la sua musa ispiratrice?

Non è una persona, ma un periodo. Amo gli Anni 60 e 70, gli stilisti di quei due decenni esibivano una creatività spettacolare. Ho studiato tutte le riviste di moda di quel periodo alla biblioteca del Saint Martins. Se potevo, ritagliavo anche le figure. Lo stile floreale di quegli anni è pieno di vita, di energia. Lo trovo ammaliante. Ho messo nelle mie collezioni il risultato dei miei studi e delle mie ricerche. I miei abiti hanno colori forti, brillanti, sommersi dai fiori. Spero si percepisca.

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Uno dei modelli floreali di Richard Quinn ispirati agli anni 60 e 70.

Come è stato lavorare con Lady Gaga?

Una bella esperienza, uno scambio reciproco di idee e di ispirazioni. È una persona curiosa, non ha paura di sperimentare, mi è servito molto lavorare con lei. In fondo, io non ero granché famoso e lei sì.

Ha vestito altre celeb?

Non ancora. Ma si sono fatti avanti dei nomi.

Quali?

Top secret. Non posso parlarne.

Quanto è importante per lei essere social?

Oggi non ne puoi fare a meno, credo. Non sono su Facebook o Twitter, solo su Instagram: è molto più utile e immediato per il mio lavoro.

Ha un social media manager?

No, posto io foto e commenti, è molto più coinvolgente. Non ne faccio moltissimi. Ma sono tutti miei.

E degli influencer cosa ne pensa? Ultimamente ci sono pareri discordi.

Se sono credibili, perché no? Possono servire parecchio, sono dei comunicatori. Tutto dipende da come usano il potere mediatico che hanno.

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