Se nasci da una madre, Maxime Birley, che considera terribile l’essere così piccolo-borghesi da presentarsi a cena portando una bottiglia di vino, il tuo destino non può essere che diventare la musa di Yves Saint Laurent, quello stilista che diceva «Odio i borghesi: il loro spirito, la loro intransigenza, il loro gusto».

Se, con la scusa di non volerti separare da tuo fratello, tua madre divorziando dice al giudice che è meglio siate dati entrambi in affido, allora è ovvio tu finisca a sposare quell’altro modello di famiglia disfunzionale del figlio di Balthus, uno che il padre si premurò di non rendere un figlio d’arte dicendogli «Se ti vedo con una matita ti taglio le mani».

Se tuo suocero è Balthus, una delle tue zie è Gloria Swanson, e uno dei tuoi zii è morto in campo di concentramento (e quella che è stata accusata d’averlo fatto deportare s’è tagliata la gola durante la sua prima notte in carcere), beh, ti tocca impegnarti presto a fare di te stessa una leggenda: Loulou de La Falaise cominciò facendosi cacciare da un collegio svizzero con l’accusa d’aver rubato il cane di Liz Taylor. «Era lui che mi si era affezionato», fu la scusa della piccina.

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Loulou de La Falaise (a sinistra) con Yves Saint Laurent e la modella Betty Catroux nel 1969.

Se tua madre era andata a letto un po’ con tutti – con Max Ernst (col permesso della moglie) e con Emilio Pucci, col fratello di Giscard d’Estaing e con Louis Malle, al quale era stata proprio lei a suggerire Jeanne Moreau per Ascensore per il patibolo – allora non è poi così strabiliante che, in quel romanzo d’appendice che è la tua vita, ci sia anche una breve relazione sessuale con Kenzo, che ti definisce (e non è l’unico a dire una cosa del genere) «Un’eccezione, l’unica volta in cui sono stato con una donna».

Se Hubert de Givenchy diceva che, finché non ha conosciuto Audrey Hepburn, Maxime Birley era il suo ideale femminile, non è poi così stupefacente che Loulou de La Falaise sia diventata il più evocativo dei nomi quanto a stile ed eleganza: col dna non si trasmette mica solo la stronzaggine. « Aveva l’eleganza nelle ossa», dice Inès de la Fressange in Loulou & Yves; ma questo lo sapevamo già: Loulou de La Falaise è un nome che non viene mai pronunciato senza aggiungere il riempimento automatico “musa di Saint Laurent”, è praticamente sinonimo di “stile”. La sorpresa è il resto: in 458 pagine, Christopher Petkanas riordina una saga che ci vorrebbero dieci stagioni d’una serie televisiva per raccontare (spero si sbrighino a tradurre il libro in italiano, ma più ancora spero che qualcuno stia già lavorando all’adattamento).

C’è dentro di tutto. C’è la storia della moda: Maxime che lavora per Elsa Schiaparelli e descrive la stilista come «una scimmia cui hanno appena rubato la banana»; Loulou che racconta come il massimo insulto, per lei e Saint Laurent, fosse dire d’un vestito «È proprio alla moda». Ci sono le contraddizioni psicologiche che accompagnano ogni grande personaggio: tutti descrivono Loulou come quella che alleggeriva l’atmosfera nell’atelier, che proponeva un’idea alternativa invece di dire che qualcosa non le piaceva; lei stessa dice di sé «Sono quella che sdrammatizza»; poi però c’è questa meravigliosa versione dell’abbandono d’un amante: lui la lascia con un messaggio scritto col rossetto sullo specchio, e allora lei, sottile e apparentemente fragile, esce di casa a piedi, arriva a un grande magazzino dall’altra parte della Senna, compra un’ascia, torna a casa e con quella fa a pezzi il letto in cui lei e l’amante dormivano.

Poche settimane dopo sposerà il figlio di Balthus, Thadée Klossowski, con cui avrà la sua unica figlia, Anna; avevano una relazione da anni, mentre Loulou ne aveva chissà quante altre, declinava proposte di matrimonio d’un Rotschild e, nella ricostruzione di quell’amante per dimenticare il quale comprò l’ascia, «Quando l’ho conosciuta non è solo che fosse circondata da omosessuali: è che gli omosessuali erano gli unici con cui andava a letto». Diane Von Fürstenberg dice che quello dell’ascia era il suo grande amore e che «tutti dicono che quello con Thadée era un matrimonio combinato, ma questo non toglie che sia stato un grande successo».

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Loulou e Yves Saint Laurent nel 1999.

Ci sono i personaggi che non si capisce se siano buoni o cattivi: Loulou non era tipo da accumulare patrimoni o sicurezze (la miglior definizione la dà André Leon Talley: «Un po’ Sally Bowles, un po’ Holly Golightly», cioè le protagoniste di Cabaret e di Colazione da Tiffany); quando, a Saint Laurent morto, si ritrova in miseria, le versioni divergono: c’è chi dice che il socio di Yves, Pierre Bergé, fece di tutto per aiutarla perché era parte della famiglia, e chi dice che in fondo ne era sempre stato geloso, ma in memoria di Yves avrebbe dovuto fare di più e invece l’avesse tutto sommato abbandonata (probabilmente sono vere entrambe: quando sei fragile e volitiva come lo erano Sally Bowles e Holly Golightly, è difficile salvarti da te stessa).

E ci sono le previsioni clamorosamente sbagliate: quando Loulou ha 25 anni, Karl Lagerfeld cura un numero natalizio di Vogue, con Marlene Dietrich come guest editor; tra le modelle rifiuta di usare Loulou, considerando la sua carriera già finita: «Ha l’aspetto di un’alcolizzata quarantenne». Lagerfeld aveva torto ma aveva le sue ragioni: la prima volta che Loulou pensò di fare un figlio (con l’amante dell’ascia, sempre lui) fu perché le era stata diagnosticata l’epatite e doveva pur far qualcosa nel corso dell’anno in cui le avevano proibito di bere. Morirà sessantaquattrenne, nel 2011, di cancro al fegato.

La ricordano, pochi mesi prima, al compleanno dell’amica Marisa Berenson, sempre elegantissima ma improvvisamente priva di «quella raffinatezza selvaggia». Pierre Bergé dirà che da quando le avevano diagnosticato il tumore non si era mai lamentata, la figlia Anna che non voleva farlo pesare, Inès de la Fressange che «la sua ultima civetteria, il suo ultimo gesto elegante è stato nascondere la malattia». D’altra parte morire scompostamente sarebbe stata una doppia violazione: lamentarsi è al tempo stesso piccolo-borghese e alla moda.

Il libro

La cover del libro Loulou & Yves di Christopher Petkanas, uscito in Usa, dedicato alla lunga relazione professionale di Loulou (qui in un ritratto di Jean-Pierre Masclet) con Yves Saint Laurent.

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