Oltre un milione di migranti, rifugiati inclusi, dall'inizio del 2015 ha viaggiato attraverso la Turchia verso la Grecia per fuggire alla persecuzione e alla povertà cercandola sicurezza dell'Europa. Ma i Paesi europei, a marzo di quest'anno, hanno messo in atto una serie di politiche per impedire l'ulteriore movimento di persone in Europa, tra cui le chiusure dei confini e un accordo tra UE e Turchia per rimpatriare tutti i migranti che arrivano sulle isole greche: oltre 50mila persone, di conseguenza, sono state smistate tra centri di detenzione, edifici abbandonati e campi di fortuna in Grecia, dove si sono verificati scioperi della fame, minacce di autolesionismo e scontri violenti.

La questione di base è che la Grecia, ancora sofferente per la crisi economica che l'ha colpita, non è in grado di offrire autonomamente la protezione e i servizi necessari per aiutare queste vite. ActionAid e Oxfam, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, hanno lanciato il rapporto Lasciati nel limbo in cui sono protagoniste le voci di centinaia di donne e uomini migranti e rifugiati sull'isola di Lesbo, ad Atene e nella regione dell'Epiro: l'obiettivo è raccontare le loro storie e capire quali sono le loro esigenze immediate.

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Foto di Pablo Tosco

Le loro voci raccontano brutalità, povertà e la mancanza di una condizione di vita dignitosa. Per quanto siano grati alla Grecia per il suo supporto, molti dei rifugiati si rendono conto di quanto il Paese che li ospita stia vivendo già di per sé una situazione difficile: «Sentiamo di esserci trattenuti troppo a lungo in un Paese che sta facendo fatica a sostenere se stesso e il proprio popolo - dice Wahid, afghano di 37 anni rifugiato nel campo di Katsikas nell'Epiro -. I greci hanno già i loro problemi».

Le famiglie sono state distrutte nel tentativo di raggiungere l'Europa: una separazione a cui i migranti sono stati costretti per cercare di mettersi in salvo, lasciando pezzi del proprio nucleo famigliare sparsi per diversi Paesi. Il desiderio di ricongiungersi è tra i più importanti: «Ho due figli in Germania, e quattro miei e due di un altro mio familiare qui con me - racconta Rueda, madre siriana rifugiata nel campo di Tsepelovo nell'Epiro -. Non so dove sia mio marito, se è ancora in Siria, se è morto o se è vivo».

Quello che potrebbe cambiare in parte le cose sarebbe l'accesso alle informazioni sullo status e sulle opzioni legali: la sua quasi totale assenza ha causato ansia e sofferenza, tanto che dopo diversi mesi di permanenza in Grecia la maggior parte delle persone non aveva ancora idea di quali fossero i propri diritti. «Tutto quello che vogliamo è qualche informazione per poter avere un po' di speranza - racconta Sakine, afghana nel campo di Katsikas -. Tutte queste difficoltà che abbiamo passato sarebbero state più facili se avessimo saputo cosa stava per succedere. Anche se ci dicessero che staremo qui per altri sei mesi sarebbe meglio di niente. Non abbiamo informazioni».

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Foto di Pablo Tosco

Molti di loro, soprattutto donne, hanno raccontato di non sentirsi al sicuro. Denunciano tentativi di rapimento, la necessità di dormire a turno per prevenire le possibili violenze, gli interventi della polizia solo quando la situazione diventa ingestibile: «Quando c'è una lite, la polizia arriva tardi, come nei film», dice Fatima.

E non ultimo la carenza di cibo e di cure mediche, ormai diventata un'emergenza: «Mio figlio ha perso 8 chili in 2 mesi. Mangia solo arance e succo d'arancia. Non mangiava da una settimana, così ho smesso di mangiare anch'io per cercare di far mangiare lui», racconta una madre migrante.

Ma nonostante la situazione disperata e le gravi condizioni di vita, i rifugiati non perdono la speranza di un aiuto da parte dell'Europa. Come un uomo afgano, anonimo, inserito nel campo di Filippiada nell'Epiro: «Suddivideteci tra tutti i Paesi così che la pressione non ricada tutta su un Paese solo. A noi non importa. Vogliamo solo poter andare da qualche parte e vivere al sicuro, in pace, così che i nostri bambini possano avere un'istruzione adeguata».

Non solo la Grecia, ma anche altri Paesi d'Europa sono teatro di queste sofferenze e ingiustizie, tra cui l'Italia. Per questo motivo, Oxfam lancia la campagna Stand as One. Insieme alle persone in fuga per chiedere al nostro Governo di garantire protezione, dignità e futuro alle persone in fuga, impegnandosi nella tutela dei loro diritti.