Mi sono ripresa la mia vita ballando. Proprio così, ballando, un passo dietro l'altro; ballando a occhi chiusi, perché sì, la mazurka, che scriviamo così, con la kappa, la puoi danzare a occhi chiusi, lasciandoti andare al tuo compagno; ballando in piazza, davanti al mare, sotto i portici; ballando con degli sconosciuti, ballando fino all'alba, fino a sentirmi di nuovo innamorata, di un uomo forse, della vita di sicuro.

Mi chiamo Irene. Il mio nome vuol dire pace e in fondo è vero, mi porto la pace dentro, anche se gli ultimi anni sono stati più di guerra e stancanti guerriglie: un divorzio trascinato e doloroso con l'uomo che ho amato e che un tempo pensavo fosse per tutta la vita; due figli adolescenti, rimasti impigliati anche loro, nonostante tutti i miei sforzi, nel matrimonio che si spezzava e nella fatica di crescere; lotte con il conto in banca, con i soldi che non bastano mai, con l'ansia dell'affitto e su come fare ad arrivare a fine mese. Ma l'energia non mi è mai mancata, per lottare, provare, sorridere sempre. Forse per questo non me li sento, e gli altri proprio non me li vedono, i miei anni; io che porto ancora le trecce, le gonne lunghe, che mi sento hippy – o meglio neohippy – nel cuore e nel corpo. Ed è stato il corpo a suggerirmi di ballare.

Mi sono ripresa la mia vita ballando.

Mi è sempre piaciuto tutto quello che ha a che fare con il corpo e l'espressione corporea; ha a che fare, anche, con il mio lavoro. Negli anni più duri della separazione è stato il tai chi a salvarmi, mi ha insegnato a concentrarmi, a essere leggera e forte. Però poi, una volta rimasta sola, ho capito che volevo di più. Che volevo divertirmi, ballare; che volevo la musica; che volevo delle emozioni. Ho provato a prendere lezioni di tango. Ma ho capito che non faceva per me. E poi sono stata invitata alla mia prima "mazurka klandestina".

Già il nome mi piaceva, l'idea ancora di più: ballare in piazza, la sera, mentre la notte avanza; riprendersi in modo pacifico le piazze delle città; trovarsi con un appuntamento su Facebook e non sapere, ogni volta, chi ci sarà, con chi ballerai, chi ti sorriderà. In quest'ultimo anno ho ballato ovunque; in una piazza circondata da palazzi scintillanti, con il mare davanti; negli stabilimenti balneari della costa, la sera, quando sono vuoti e hai negli occhi il tramonto; su un ponte lungo un fiume, con una vera orchestra improvvisata; sotto i portici di piccole e grandi città; in cima a un torrione medievale, sul bordo di un precipizio, all'alba; e una notte mitica, a Venezia, quando abbiamo cominciato davanti alla stazione e, campo dopo campo, siamo finiti in piazza San Marco.

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Ho scoperto che ballare la mazurka vuol dire innamorarsi ogni volta. Vuol dire lasciarsi andare a tre minuti di emozioni, e poi ancora tre minuti, e tre minuti… Esattamente quanto dura un ballo. Ho scoperto di avere un'energia nascosta, ho scoperto che ballando mi sento ancora più viva, che l'energia si crea e si rigenera. Ho scoperto di nuovo la fiducia e l'apertura verso il mondo: le "mazurke klandestine" sono a numero variabile, possono partecipare una decina di persone (e allora si chiama "skeggia"), ma anche più di cento. L'importante è la musica, seguire i passi, seguire il tuo compagno di quella sera, di cui magari non hai ben afferrato neppure il nome; seguire l'armonia del gruppo. Ho scoperto il piacere della musica che è senza età: ci sono ventenni e cinquantenni, senza barriere, senza pregiudizi, solo la voglia di stare insieme.

Ho scoperto che tutto quello che impari nella mazurka puoi usarlo nell'amore, e viceversa. Per me è stato una specie di allenamento a lasciarmi andare; per imparare, dopo un lungo matrimonio ed un ancora più lungo divorzio, ad aprirmi di nuovo alle emozioni. Ho scoperto, ballando, che ho ancora voglia di amare. Che agli uomini piaccio, che gli uomini mi piacciono. Che ho voglia di provarci, ancora; e se magari anche in amore sbaglio, come quando sbagli un passo, inciampi, l'importante è la musica, seguire il ritmo. Ballando ho conosciuto uomini della mia età e uomini più giovani. Ho avuto una passione, mi sono illusa, sembrava potesse essere una storia vera, con un uomo che viveva in un'altra città, separato, senza figli.

Continuo a ballare. Mi sento più sicura, e grata alla vita per tutto quello che ho avuto,

Non ha funzionato. Forse era troppo presto. Forse io chiedevo troppo, forse lui voleva dare troppo poco. Ho avuto una storia con un ragazzo più giovane, molto più giovane; mi piaceva tutto di lui, il corpo scattante non ancora segnato dalla vita, il sorriso senza incertezze. Mi piaceva il suo entusiasmo, il non avere paura, il gettarsi avanti, il piacere di ballare a piedi nudi, scalzo, come me. Non è durato, ma non importa: è stato bello. E adesso? Adesso continuo a ballare. Mi sento più sicura, e grata alla vita per tutto quello che ho avuto: i miei figli, che stanno trovando la loro strada. Sono grata anche di questo spazio tutto mio, in cui non sono né moglie né madre, ma soltanto una donna, una donna che danza alla vita a occhi chiusi. Non nel chiuso di una stanza, ma in piazza, per strada, in riva al mare, nel mondo. E poi, chissà, magari un altro amore mi aspetta, al prossimo giro di mazurka.

Come si partecipa a una "mazurka klandestina"? Prima di tutto non è necessario saper davvero ballare: basta avere voglia di imparare. Infatti nella "mazurka francese" o "mazurka lenta", rispetto ad esempio al tango, non è importante la tecnica: si balla con il cuore. Le date degli incontri (con il luogo di ritrovo) si trovano su Facebook, dove il gruppo più frequentato ha quasi 10.000 iscritti, e l'invito è aperto a tutti: perché la mazurka oggi è questo, un ballo folk che diventa virale attraverso i social network, portato nelle piazze, di sera e di notte, da gruppi entusiasti di trentenni (e over). Chiunque può lanciare l'idea di una serata: quelle più estemporanee, cui magari partecipano poche decine di persone, si chiamano "skegge" e si ballano sotto i portici di Bologna, per i campi di Venezia, tra i due mari di Taranto, nelle piazze di Firenze e Roma, o in piazza Unità a Trieste, con davanti il tramonto e il mare.

testimonianza raccolta da Lisa Corva