I casi di femminicidio continuano. Da Sara, 22 anni, bruciata viva dall'ex fidanzato, alla 35enne incinta di sette mesi avvelenata dal compagno vicino a Bologna, passando per la ragazza picchiata dal fidanzato nella piazza di Polignano a Mare. La folla interviene, lei non lo denuncia. E molti altri casi ancora, Alessandra, la maestra, di 46 anni, madre di due figli che l'ex convivente ha pugnalato, spaccandole poi il cranio con un vaso e Michela, 29 anni, sorride felice con l'ex fidanzato, ex guardia giurata che l'ha finita con quattro colpi di pistola. È morta al primo. Quanti interrogativi: perché infierire? Sono due settimane che l'ondata mostruosa di violenza sulle donne non arretra. E chi sopravvive perdona. Perché?

Parola agli esperti

«Siamo di fronte a un fenomeno epocale e non a patologie o ossessioni maschili, la causa, o almeno una causa, è socio culturale», a parlare è Carmen Liccardi, ordinario di Sociologia culturale all'Università Bicocca di Milano e responsabile scientifico del centro di ricerca interuniversitario Culture di genere (culturedigenere.it). «Le identità di genere si sono modificate parecchio negli ultimi decenni, ma le donne l'hanno fatto più in fretta, hanno scoperto l'autonomia, l'autodeterminazione, la libertà interiore, vogliono relazioni soddisfacenti e magari si illudono che il partner abbia le loro stesse esigenze, mentre spesso gli uomini sono rimasti al paradigma maschilità uguale a virilità, nelle relazioni esercitano i due soli poteri che riconoscono: possesso e controllo, una visione che non è più al passo con i tempi ». E il disagio sociale non c'entra più, purtroppo la violenza maschile è trasversale alle classi e all'educazione.

Un approccio diverso

E di violenza di genere se ne parla tanto e da parecchio.«Sì ma non agli uomini», prosegue Elisabetta Ruspini, sociologa all'Università della Bicocca che si è occupata di violenza di genere. «Come sono questi uomini violenti? Bisogna parlare con loro, nessuno insegna a un uomo ad ascoltare il suo corpo, a riconoscere legittimi certi comportamenti considerati fuori-genere, e bisogna iniziare da piccoli, in questo senso la scuola non aiuta certo nell'insegnare il rispetto delle diversità, ma una speranza c'è, i protagonisti della cronaca appartengono alle generazioni precedenti, hanno dai 30 ai 50 anni, le ultime generazioni sembrano più preparate, la strada è lunga ma se le istituzioni si impegnassero non ci vorrebbe tanto». E ribadisce Leccardi: «Gli uomini vanno aiutati a uscire dalla gabbia della virilità, magari proponendo loro altri modelli, per esempio lavori che una volta erano considerati solo femminili, del resto molte donne fanno lavori da uomini. Questo implica che anche le donne devono separarsi da una serie di stereotipi di empatia, comprensione, perdono, anche le più libere poi cascano nell'assunto: mi vuole tutta per sé quindi mi ama. Non è vero. Chi ti possiede ti opprime».

In alto, un'installazione contro la violenza sulle donne allestita in occasione della manifestazione di protesta all'indomani dell'omicidio di Sara Di Pietrantonio a Roma.