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Sono sempre stata una curiosa. A volte fin troppo curiosa, quasi maniacale. Se mi raccontano qualcosa che non mi convince, devo toccare con mano, vedere con i miei occhi, tastare la verità: questa la premessa. Una sera mi vedo con un amico per una pizza, so che lui è in crisi con la moglie e frequenta un'altra donna. Mentre parliamo del più e del meno, camminando lungo il marciapiede dopo essere usciti dal ristorante, passiamo davanti a un centro di bellezza tappezzato di immagini di ragazze orientali, con le mani e le braccia sulla schiena di potenziali clienti. Lui si volta e mi sorprende con una frase sprezzante: «Mi concedo anche qualche massaggio», dice, indicando la vetrina.

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Ho sempre pensato che quei luoghi fossero un po' loschi. Si presentano, dall'esterno, con tante immagini colorate. Ma, dalla strada, non si vede niente di quello che c'è dentro. Non si scorge mai qualcuno che ne varchi la soglia. Eppure, sono così tanti che devono essere per forza frequentati. Qualche volta ho visto delle ragazze con gli occhi a mandorla sedute fuori, su un gradino, con la sigaretta in mano. L'amico legge la domanda nei miei occhi e mi spiega senza troppi giri di parole che lui frequenta quelle "stan- zette" (le chiama così!) per diletto, relax e sesso facile. «Case chiuse non legalizzate!» sbotto io. «Allora è proprio vero». «Più o meno», conferma lui.

Che tristezza, che squallore, replicano i miei occhi. Una moglie, un'amante, le prostitute cinesi e per di più quell'atteggiamento pieno di boria, quasi da esibizionista. «Chissà cosa succederebbe se ci entrassi tu», mi sfida lui.

L'uomo dietro al bancone accende la radio. Tenta, con il volume assordante, di coprire i gemiti del cliente. Ma non è possibile.

Mentre lui parla, io penso: perché no? Il pensiero di spingere una di quelle porte fucsia mi aveva già sfiorato in passato. Massaggio 30 euro, in vasca 60 euro, a quattro mani 80 euro. Escluso l'impegnativo trattamento acquatico, potrei entrare con la mia espressione più candida a chiedere un massaggio base. Che, se fosse fatto bene, alla fine costerebbe pure poco.

Ecco cosa succede nei centri massaggi cinesi

Faccio passare un giorno prima di decidermi a entrare in un centro: «Posso fare un massaggio?». «Certo», risponde l'uomo cinese che sta dietro al bancone. È pieno giorno, non ci sono altri clienti. Il locale consta di un paio di stanze abbellite da rose finte, rosse, sparse un po' dappertutto e anche appoggiate alle panche su cui, presumo, hanno luogo i massaggi. Nell'aria sento un odore dolciastro e sgradevole. Si avvicinano due ragazze cinesi. «Massaggio nolmale?», fa una. «Normale», scandisco io, con il tono più chiaro possibile, mentre mi chiedo con un brivido: a cosa corrisponderà un massaggio che non è normale?

La ragazza mi fa sdraiare con modi bruschi. Il massaggio comincia, brusco anche quello. Accanto a me c'è una grande vasca in legno che immagino serva per il massaggio acquatico. Dopo pochi minuti suona un campanello e sento il saluto di una voce giovane e maschile: «Buongiorno!». «Ciao», risponde un'altra ragazza. Si trovano entrambi dall'altra parte di una sottile parete di cartongesso, in linea d'aria a pochi centimetri da me, così sento tutto quello che succede. Il mio massaggio procede ma io sono sempre più contratta e, a ogni minuto che passa, più pentita di essermi abbandonata a quel gioco di curiosità. Oltre il divisorio, il cliente chiede il nome alla ragazza che lo sta massaggiando. Monica, risponde lei. Io Giovanni, dice lui, e ripete che è bella, che l'aveva notata perché è davvero molto bella. Io sono rigidissima.

«Sei bravissima», continua il ragazzo al di là della parete. Poi emette un gemito. «Sei un amore», insiste. Altri gemiti, in sequenza ritmica. Io vorrei scappare a gambe levate. Ma resto lì. Qualcuno, probabilmente l'uomo dietro al bancone, accende una radio. Tenta, con la musica assordante, di coprire i gemiti del cliente, ma non può, perché ormai sono diventati lunghi e intensi. I miei muscoli sono durissimi, mi chiedono solo di andarmene. Inspiro e cerco di immaginare la faccia di Giovanni. Giovanni, gli dico tra me, non hai l'aria di un adultero. Ci scommetto che sei un povero timido, insicuro, piuttosto solo. Mi fai quasi pena.

«Vuoi acqua?», mi chiede la mia massaggiatrice. Figuriamoci. Voglio solo uscire. La sola idea di appoggiare le labbra su un loro bicchiere mi fa star male. La mia curiosità si è ormai del tutto convertita in fastidio, irritazione. Magari scopro che in fondo sono una bigotta. Penso a quelle donne, al loro lavoro in quei luoghi angusti, alle rose di plastica, all'odore stomachevole. Mi avvicino al bancone, prendo il portafoglio, pago all'uomo di prima. Trenta euro cash. Esperienza fatta, verità acquisita. Ho le spalle più doloranti di prima.

(testimonianza di Francesca Colosi)

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La parola all'esperta: serve la denuncia per chiudere i "saloni"

Basta sfogliare le pagine di cronaca per trovare sale massaggio cinesi chiuse dalla polizia perché nascondono giri di prostituzione. Non sono tutte così, ma alcune sì. Che cosa impedisce un controllo più capillare? La difficoltà di ottenere denunce?

L'abbiamo chiesto a Mirta Da Pra del Gruppo Abele di Torino, diventata esperta nel riconoscere e affrontare i meccanismi dello sfruttamento.

Come mai tante sale massaggi?

Non è un caso. Dopo le ordinanze dei sindaci per togliere la prostituzione dalle strade, il 70 per cento delle attività si è spostato indoor. Le sale massaggi sono una buona soluzione: sono un'attività commerciale e sono legali.

Ha conosciuto ragazze cinesi costrette a prostituirsi?

Sì. Qualcuna è venuta da noi accompagnata dal cliente che aveva deciso di aiutarla, altre dai vicini di casa…Molte, dopo il primo contatto telefonico, non si presentano.

Hanno paura?

Certo. Pensiamo a ragazze che non sanno l'italiano, non sanno spiegarsi, sono ricattabili, hanno parenti a cui devono mandare soldi. O si sentono addirittura in debito con i loro sfruttatori, perché sono uscite da una situazione anche peggiore. Esiste un numero verde, 800 290290, che raccoglie ogni tipo di segnalazione, anche da privati cittadini che possono restare anonimi. Le cinesi, più di altre, hanno bisogno di lavorare. Noi cerchiamo di proteggerle, ma se non riusciamo a inserirle in un progetto, se ne vanno. E purtroppo mancano risorse.

Sono obbligate a denunciare i loro sfruttatori?

L'articolo 18 del testo unico sull'immigrazione prevede un iter giudiziario anche senza denuncia (è importante!), ma la ragazza deve fornire informazioni utili e verificabili, perché la magistratura possa aprire un'inchiesta. Ci sono tempi da rispettare e controlli da fare, e in molti casi la denuncia arriva. Sono le nostre piccole vittorie.

(Roselina Salemi)