«Le adozioni dal Congo erano state accettate. I documenti erano in regola. Le famiglie, almeno quelle seguite da noi, pronte a partire, poi il 25 settembre 2013 il governo del Paese centroafricano ha bloccato tutto», spiega Massimo Vaggi, presidente dell'associazione Nova onlus. E comincia l'odissea di 130 bambini congolesi (la Commissione adozioni internazionali non ha mai confermato il numero, ndr). «Anche noi eravamo tra quelli, andavamo a prendere Jordan, 3 anni», racconta Michele Albano, 40 anni, commercialista di Foggia. Lui e la moglie Paolina, 34 anni, fisioterapista, per un caso non sono partiti, evitando così di restare bloccati in Congo come è accaduto a una ventina di genitori. «Lo scorso 17 gennaio Jordan è arrivato con una decina di altri bambini, i primi ad avere ottenuto il via libera dal Paese», prosegue Albano. «Ha sei anni, ma si è integrato subito all'asilo, e a settembre andrà a scuola. In due settimane ha imparato l'italiano con una tale velocità che ha sorpreso tutti,  psicologi e maestre, e ora non parla quasi più francese».

Parlavamo via Skype

Ma sono stati tre anni duri. «Non avendo notizie e certezze, avevamo comunque deciso di adottarlo a distanza», dice Albano. «Poi con 30 genitori abbiamo preso una decisione, siamo andati in Congo, abbiamo aperto una casa famiglia con l'aiuto di Nova, e tolto i bambini dall'orfanotrofio di Kinshasa. Tornati in Italia abbiamo stabilito una routine: ogni settimana parlavamo via Skype, mandavamo foto e giocattoli, per creare un legame». Sul perché del blocco improvviso del governo congolese il condizionale è d'obbligo. «Si dice che un bambino fosse stato adottato in Canada e poi finito in una famiglia omosessuale, e c'erano aspetti poco trasparenti nelle pratiche dagli Stati Uniti, che sulle adozioni hanno leggi meno stringenti delle nostre», prosegue Vaggi. Quindi il governo ha voluto riesaminare le domande di adozione da tutti i Paesi (Belgio, Francia, Canada, Usa, Italia), anche quelle già approvate, mentre preparava una legge sulle adozioni, che verrà votata a breve. E questo ha dato una grande accelerata alle pratiche. Molti altri bimbi arriveranno nel nostro Paese dopo che le autorità congolesi avranno verificato che le pratiche adottive non presentino aspetti critici. 

Una rete di sostegno per i genitori

«In Congo ora la richiesta di abbinamento del bambino alla famiglia che ne fa richiesta viene decisa dai giudici regionali, che devono accertare lo stato effettivo di abbandono, che non ci siano possibilità di adozione in patria e che tale richiesta sia fatta nell'interesse del bambino», conclude Vaggi. In pratica un giudice deve pronunciarsi sul fatto che per questi bambini non ci sia altra possibilità di una vita felice se non quella di andare all'estero.  «La nostra è stata un'esperienza così profonda», conclude Albano. «Che vorremmo condividerla con altri genitori, vorremmo far incontrare tutti i bambini, arrivati dal Congo e da altri Paesi. Per ora siamo in 30 in Italia, diamo una mano, diamo informazioni e consigli, noi sappiamo bene cosa si prova quando nessuno ti risponde e non sai come muoverti. Ma vorremmo creare una sorta di rete di sostegno nazionale per i genitori che adottano. Perché sono i bambini come Jordan i nuovi cittadini del mondo».