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Ci sono storie di per sé amare, a prescindere da come andranno a finire. E sono storie di molestie e violenza sulle donne. Donne comuni, ma anche popstar, come Kesha, diventata famosa nel mondo con la hit del 2009 Tik Tok e oggi al centro di una vicenda drammatica di abusi e maltrattamenti.

In Italia ne sappiamo qualcosa: i numeri delle molestie sul posto di lavoro non sono certo rincuoranti: un recente studio dell'Istat ha, infatti, certificato che almeno un milione e 300 mila donne tra i 14 e i 65 sono state molestate, violentate o ricattate sessualmente durante la vita lavorativa. Pochissime hanno scelto di fidarsi di forze di polizia e giustizia. Per stupri e tentati stupri ha sporto querela il 9 per cento delle vittime ed è stato denunciato solo lo 0,7 per cento dei ricatti a luci rosse. Una argomento delicato, adombrato da paura ed omertà, su cui la vicenda di Kesha, al di là di quella che sarà la su definitiva conclusione, ci ha imposto di tornare a parlare con più urgenza che mai.

I fatti. Nell'ottobre del 2014 Kesha ha accusato il suo produttore discografico Dr. Luke, con il quale collabora dal 2005, di aver abusato di lei per diversi anni e ha chiesto a un giudice di rescindere il contratto che la lega professionalmente a lui e alla Sony, proprietaria dell'etichetta discografica. Nello specifico Kesha, come ha riportato il The Guardian, «ha accusato Dr. Luke di averla riempita di alcool e droghe in diverse occasioni, prima di farle avance sessuali». Nel 2014 la cantante ha sporto denuncia per i maltrattamenti e gli abusi subiti, ma il caso fu archiviato per mancanza di prove. Cosa accaduta di nuovo il 19 febbraio quando ill giudice Shirley Kornreic si è espresso in favore di Dr. Luke e della Sony, spiegando che la sua decisione era stata determinata dall'assenza di prove di natura medica dei presunti abusi sessuali.

La difesa di Dr. Luke. Dopo la sentenza della Corte Suprema, l'accusato ha deciso di dire la sua con un lunghissimo tweet: «Fino ad ora – ha scritto – non ho commentato la causa, che si dovrebbe risolvere in tribunale e non qui su Twitter. È un peccato che là fuori ci sia così tanta speculazione, basata su così poche informazioni. L'unica persona obiettiva a conoscenza dei fatti è il giudice. Il giudice non ha deciso in favore di Kesha venerdì. Capisco perché le persone che non conoscono tutti i fatti stiano parlando. Posso capire la loro compassione. Ma le vite possono essere rovinate quando c'è una corsa al giudizio prima che tutti i fatti vengano fuori. (…) Ovviamente chiunque sia sano di mente è contro lo stupro, ma tutti quelli che stanno commentando lo stanno commettendo, senza sapere i fatti. Stanno sostenendo un'accusa motivata solo dai soldi. Non ho stuprato Kesha e non ho mai fatto sesso con lei. Kesha e io siamo stati amici per tanti anni ed era come una sorella minore per me. Ho tre sorelle, una figlia e un figlio con la mia ragazza, e una mamma femminista che mi ha cresciuto correttamente. (…) È triste che lei abbia trasformato una negoziazione contrattuale in qualcosa di così orrendo e non vero».

Il post di Kesha su Instagram. La popstar, dal canto suo, dopo essere scoppiata a piangere in tribunale, ha voluto ringraziare tutte le persone che la stanno supportando in questo momento.

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Il post di Kesha su Instagram

Mentre, ancora, sul suo Facebook un'amareggiata Kesha ha scritto: «Tutto quello che volevo era essere libera di fare musica senza avere paura, essere spaventata o abusata. Questo caso non è mai stato per avere un contratto più importante o migliore. È per essere libera da qualcuno che ha abusato di me. Sarei disposta a lavorare per Sony se facessero la cosa giusta, rompendo tutto ciò che mi lega a lui.».

Il sostegno a Kesha. La sentenza è stata accolta da moltissime proteste, sia fuori dal tribunale dove stazionavano tanti sostenitori della cantante, sia in rete dove la contestazione è partita attraverso l'hashtag #FreeKesha. Molte le colleghe che si sono esposte in favore di Kesha, da Adele a Demi Lovato, Taylor Swift, Lorde e Kelly Clarkson.

La riflessione di Lena Dunham. La creatrice di Girls, oggi al seguito di Hillary Clinton nella corsa per la Presidenza degli Stati Uniti, ha scritto una lettera per difendere non solo Kesha ma tutte le donne non protette «dal sistema legale americano che continua a ferirle, non proteggendole dagli uomini che identificano come i loro aguzzini». La missiva di Dunham si conclude così: «Permettetemi di chiarire il concetto: immaginate che qualcuno vi abbia fatto davvero male, fisicamente ed emotivamente. Vi abbia spaventato, abusato di voi e minacciato la vostra famiglia. Il giudice dice che non c'è bisogno di rivederli, ma a loro resta la proprietà della vostra casa. Così possono decidere quando accendere il riscaldamento o spegnerlo, se pagare la bolletta telefonica o meno. Dopo tutto quello che avete passato, vi sentireste al sicuro a vivere in quella casa?».