Nonostante sia inizio febbraio, uscendo dall'ufficio all'ora di pranzo per andare all'appuntamento con Dario, il termometro segnala "parvenza di primavera". Ma a parte quel fremito stagionale mi sento normale, un giorno come un altro. Anche se quell'incontro può considerarsi a tutti gli effetti un appuntamento con il destino. Le difese psicologiche fanno miracoli o sfracelli, a seconda del punto di vista. Non vedo Dario da 27 anni o quasi. Anche se non ho tenuto il conto della nostra lontananza. Semplicemente è stato il mio primo ragazzo, 16 anni io e 18 lui. All'epoca mi dedicava poesie incomprensibili come la grafia con cui le scriveva e cercava di esaudire ogni mio desiderio, per esempio comprandomi il motorino di cui i miei non volevano neanche sentire parlare. Era generoso di natura, ma dopo l'aborto ancor di più. Durante la nostra prima volta eravamo così impacciati e inesperti che sono rimasta incinta senza che ce ne rendessimo conto. O meglio, io da quella sera non sono più riuscita a dormire: in assenza d'informazioni sul Web (non esisteva) o della necessaria confidenza con i rispettivi genitori (non esisteva), l'istinto mi diceva che era successo qualcosa. E prima ancora del tanto atteso giorno delle mestruazioni, mia madre mi domandò a bruciapelo: «Ti vedo strana, non è che sei incinta?». Impossibile tergiversare. Confessai. E da lì in poi persi il contatto con me stessa (cosa desideravo fare?), consegnata al giudizio e alla decisione di mia madre che, come un robot, si focalizzò esclusivamente sulle questioni pratiche. Per far che? Abortire, senza se e senza ma. Mio padre aveva perso da poco il lavoro, l'ultimo di una serie di problemi familiari.

«Non siamo stati gli unici protagonisti di quella vicenda. Anzi. Non potevamo fare diversamente», dice Dario. Alla fine del pranzo in cui ci siamo raccontati in estrema sintesi gli ultimi 30 anni, Dario mi butta lì un argomento "facile facile". Non gli do granché ascolto, perché non m'interessa più sollevarmi dalla colpa di aver ucciso una parte di me. Qualsiasi cosa sia stato, (ir)responsabilità, colpa o incapacità di ribellarmi a mia madre, l'aborto ha comunque scavato dentro me. Anche quando, durante tutti questi anni, mi dicevo: «Figurati se un episodio così lontano nel tempo può ancora avere delle conseguenze!». Succedeva ogni volta che soffrivo per i miei amori asimmetrici, relazioni in cui, non appena mi autorizzavo a vivere l'amore, l'altro scappava o viceversa. Cercare l'amore e allo stesso modo respingerlo: come se ne esce? Per la soluzione del rebus rivolgersi altrove, please.

Figurati se un episodio così lontano nel tempo può ancora avere delle conseguenze!

«Mi sono separato da quattro mesi e per la prima volta sto andando in analisi», dice Dario davanti a una ciotola di chirashi. «Doveva essere una terapia di coppia, ma Margherita dopo due sedute ha dato forfait». E intanto io ripenso a quando mi volle presentare la sua futura moglie. Ero a Roma di passaggio (vivevo ormai lontano) e accettai solo perché in città non avevo quasi più amici con cui uscire la sera. In un locale freddo e buio di Trastevere, pochi convenevoli e molti sottintesi. Tornai a casa un po' interdetta. Non ho mai provato risentimento per lui, solo "anestesia", che è peggio. «La mia dottoressa dice che sto andando veloce», continua. «E ora siamo arrivati al punto. L'aborto». Il punto e a capo, dico io per sdrammatizzare. E intanto penso alla loro casa in centro (non l'ho mai vista, ma immaginarla non è difficile), ai loro figli, belli e dai nomi esotici. Il primogenito è nato lo stesso giorno in cui è morta mia madre. Dario non venne al funerale, assente giustificato. Che assurdità anche solo chiederglielo. Non ci legava più niente. Forse.«La mia dottoressa dice che il modo in cui ci rapportiamo all'amore si è formato a partire da quell'evento, perché – non è strano – tu sei stata la mia prima ragazza e io il tuo primo fidanzato. Nel mio caso, cerco di salvare ogni donna di cui m'innamoro per non esser riuscito a salvare te. Anche con la mia ex moglie è andata così. All'inizio eravamo fin troppo legati: io le avevo consegnato la mia sofferenza e lei aveva fatto lo stesso con la sua. Ma è un modo d'idealizzare l'altro. Un peso troppo grosso che non resiste alla prova della realtà. Nessuno può salvare qualcun altro. Solo se stesso».

Cerco di salvare ogni donna di cui m'innamoro per non esser riuscito a salvare te

Ritorno con la mente a qualche anno fa, quella volta che c'eravamo sentiti al telefono (è un avvocato e avevo bisogno di un parere legale spassionato). Quando tra i saluti disse: «Davvero non trovi un uomo con cui fare un figlio? Non è difficile». Non lo sarà per te, pensai. In silenzio. «Se sciolgo questo nodo forse posso aiutare anche te», prosegue Dario. «Con gli uomini, intendo. In fondo da quella volta hai cominciato a far la pazza. E io ti ho lasciato fare». Per un momento penso che voglia colpevolizzarmi del fatto che, un anno dopo l'aborto, mi sono messa con un altro senza dirglielo. E per un po' siamo stati in tre. Che è come non stare con nessuno. Non riuscivo a lasciarlo perché mi sentivo in colpa del suo sentirsi in colpa per me. «Ma tu l'hai mai detto a qualcuno?», gli chiedo risoluta. «No, mia madre non lo sa neanche ora. Pensa, che a 80 anni si è fatta una ciocca viola!». «Avrebbe potuto parlare alla mia!». Non sarebbe più stato un segreto.

Dopo il pranzo sono tornata in ufficio impassibile. Ma la sera, a cena con quella che è diventata la mia nuova famiglia (acquisita), mi veniva improvvisamente da piangere. «Ora non sei più sola», ha sintetizzato il mio compagno. Da quel giorno – ancora non ci credo – tante cose hanno trovato il giusto incastro. È vero, Dario non è stato in grado di "salvarmi" allora, ma lo sta facendo adesso. E senza che glielo avessi chiesto. Quando mi stavo quasi arrendendo all'impossibilità di trovare un bandolo alla questione amore. In tutto questo tempo ho creduto di averlo perdonato, in realtà l'ho solo giustificato (mia madre disse a lui di sparire e a me di non parlarne con nessuno), alimentando una sfiducia subdola verso tutti e tutto. Ho capito che in quella stanza assolata di fine agosto di 27 anni fa, aspettando con il cuore in gola l'interruzione di gravidanza, feci un voto a me stessa come un marchio sulla pelle: non mi sarei mai più fidata di nessuno, figuriamoci di un uomo! In fondo, in quel corridoio d'ospedale mi era fin troppo evidente che ero l'unica a pagare l'errore di entrambi (ammesso che errore fosse). Mi sbagliavo. Abbiamo pagato tutti, purtroppo. Ma oggi, finalmente, abbiamo girato pagina.

* testimonianza raccolta da Monica Piccini