La settimana che va dal primo al 7 ottobre è una di quelle votate alla promozione dell'allattamento al seno, anzi: è la Settimana Mondiale dell'Allattamento, e proprio questa mattina ne sono venuta a conoscenza, notando un cartellone pubblicitario appeso all'entrata di una scuola materna. Il messaggio, come si suol dire, la toccava piano, dicendo che "allattare non è solo nutrire". Se non è solo nutrire, mi sono chiesta, che altro è o meglio: che altro voleva intendere, chi ha ideato quello slogan? Beh, in parte di certo si voleva comunicare che allattando, come qualunque ginecologo, pediatra, ostetrica ci ripete da sempre, si passano al neonato anche anticorpi che gli saranno utili per il futuro, ma l'impressione è che l'idea al centro di quella frase, molto secca e molto precisa, non sia tanto legata alla prevenzione delle infezioni, quanto a un giudizio netto sulla madre. L'assunto, insomma, suona parecchio familiare a chi ha avuto figli, e si conforma al pensiero dominante dei pro allattamento al seno, per i quali le brave mamme allattano, le altre no. Ed è un pensiero parecchio condiviso e parecchio invasivo, tant'è che ormai chiedere a una donna che ha appena partorito "ma allatti?" è prassi più che comune, anche tra perfette sconosciute, quando, in realtà, la questione sarebbe oltre che complessa anche molto, molto privata.

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L'equazione per cui l'amore che si prova per il proprio figlio va di pari passo a quanto siamo disposte a nutrirlo "via tetta" è tanto più ingiusta quanto la si circoscrive all'interno di un Paese come il nostro, dove le difficoltà ad avere un congedo di maternità degno di questo nome sono, e ve ne avevamo diffusamente parlato qui, tante e toste. In Italia ci sono decine di migliaia di libere professioniste che, per non perdere clienti o commissioni, non si fermano praticamente mai, se non per partorire, e non perché sono delle insensibili arrampicatrici sociali, ma perché il più delle volte non hanno scelta. In quel caso, l'allattamento come gesto estremo d'amore, mal si concilia con il dovere essere prestante e performante, anche se i punti dolgono, anche se il baby blues ha colpito, anche se banalmente non se ne avrebbe alcuna voglia. Questo per dire che talvolta allattare non è un'opzione, e una donna non dovrebbe essere giudicata per questo. Altre volte, invece, allattare sarebbe possibile, in linea teorica, ma poi nella pratica diventa un inferno. Perché può essere doloroso, difficile, quasi impossibile, e tutte le foto del mondo di mamme, vip o non vip, che lo fanno sorridenti, felici, come fossero nate per quella cosa lì, non cambieranno di una virgola le nostre difficoltà. Nemmeno per questo, credo, una donna deve essere giudicata.

No, il latte non è un super potere, è una cosa naturale che non accade soltanto alla nostra specie e che non ci rende dei super eroi ma semplicemente dei mammiferi. Il messaggio che ho letto su quel cartellone oggi m'è rimbalzato nella testa come qualcosa di ingiusto e che, di nuovo, prova a fare leva su meccanismi basati sul senso di colpa ("se non allatti è perché non vuoi", e anche se fosse avrei le mie buone ragioni) e sul paragone con le altre madri ("quella è brava perché è andata avanti fino ai 3/5/7 anni"), quando solo noi consociamo il perché delle nostre scelte, che poi tanto scelte molte volte non sono.