La prima cosa alla quale è utile Piccole donne è il ridimensionamento di quel mito romantico denominato ispirazione. Il romanzo di formazione che le bambine di tutto il mondo continuano a leggere da 150 anni (uscì per la prima volta nell’ottobre del 1868) non era certo quel che voleva scrivere Louisa May Alcott. L’editore faticò a convincerla: non gliene importava niente delle ragazze come soggetti narrativi; a lei interessava scrivere satira, mica robaccia melensa; si rifiutava di fare una cosa così scema e scontata come farle sposare (poi cedette, come sappiamo tutte); il suo titolo di lavorazione era, eloquentemente, La famiglia patetica.

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Patrick Redmond
Una scena della serie tv Piccole donne disponibile su Sky On demand.

Questo non ha impedito a «Natale non sarà Natale senza regali» di diventare uno degli incipit più noti della storia della letteratura, né alla divisione tra Amy e Jo d’essere la più indicativa dell’età della lettrice. Attraversiamo tutte una fase in cui ci sembra socialmente più presentabile immedesimarci in Jo: quella seria, che pensa ai libri e non esita a privarsi delle sue meravigliose chiome per una buona causa. All’età alla quale i capelli ci sembrano la cosa più importante del mondo, ci pare doveroso sforzarci d’immedesimarci in una che i capelli se li fa rasare per racimolare i soldi che servono in famiglia. Jo March è un’eroina per bambine per le quali Giovanna D’Arco sarebbe un po’ troppo. Poi cresciamo, e capiamo che quella che aveva capito tutto è Amy, che dei libri se ne fregava e pensava solo alle cose davvero importanti: i vestiti.

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Patrick Redmond
Maya Hawke, la figlia di Uma Thurman ed Ethan Ha2ke, è Jo nella nuova serie tv della BBC in onda su Sky On demand.

Certo, le aspiranti scrittrici (una categoria terribilmente diffusa) continueranno tutta la vita a sgranare gli occhioni e a dire che, santo cielo, Amy ha buttato il manoscritto di Jo nel fuoco, ed è difficile per chi di mestiere (o d’ambizione) scriva pensare a violenza più efferata. Ma Amy era piccola, cosa volete che capisse di manoscritti (e poi Alcott ce lo fa capire perfidamente tra le righe: non ci siamo perse un caposaldo della letteratura, Jo era una ciofeca di scrittrice, è anche per quello che c’immedesimiamo in lei; ci vuole una mediocre, per proiettarle addosso la nostra non eccellenza). Soprattutto, Amy ci regala una scena che vale per tutte le età: il brunch disertato. La colazione organizzata con tanta tensione alla perfezione alla quale le compagne di scuola non si presentano. Non si capisce la grandezza archetipica del personaggio di Amy finché non si è abbastanza adulte da organizzare una cena disastrosa. Mentre aspettate invitati che non arrivano e la roba sul tavolo pian piano marcisce, è allora che rivalutate Amy March, è allora che capite che dietro tutta quella frivolezza si nascondevano strati di vero dramma, altro che capelli tagliati (i capelli ricrescono molto più velocemente di quanto si rimargini l’umiliazione sociale).

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Courtesy photo
Una scena del Piccole donne del 1994,con Susan Sarandon (la signora March), Winona Ryder (Jo), Claire Danes (Beth) e Kirsten Dunst (Amy).

Il centocinquantennale del romanzo che tutte abbiamo letto da piccole e citato da grandi è pienissimo di celebrazioni. Una serie tv della Bbc (la trovate on demand su Sky), in cui Jo è l’emergente Maya Hawke (figlia di Ethan e di Uma Thurman, nella foto d'apertura è la terza da sinistra). Un film in preparazione, diretto dalla già candidata all’Oscar Greta Gerwig, in cui Meg, la sorella maggiore e giudiziosa, doveva essere Emma Stone ma è stata rimpiazzata da pochi giorni da Emma Watson (non se ne accorgerà chi già faticava a distinguerle), e quel tonno di Laurie, il vicino di casa ricco che era innamorato di Jo ma poi sposa Amy perché si diletta a suonare il pianoforte e quindi pensa che anche il suo mito Mozart sposò la sorella di quella che gli piaceva e fu felice, sarà Timothée Chalamet.

Riedizioni (in Italia l’ha ripubblicato Feltrinelli, con postfazione di Nadia Terranova) e saggi: quello di Anne Boyd Rioux, uscito in America, promette di spiegarci perché Piccole donne sia ancora rilevante (Meg, Jo, Beth, Amy: The story of Little women and why it still matters). E ha sicuramente ragione su un punto: da lì in poi praticamente tutte le storie di donne, da Sex and the City a L’amica geniale, sono state contrapposizioni di tipi. Sei una Jo o una Amy, una Carrie o una Miranda, una Lila o una Lenù. Il che dimostra la forza del romanzo nell’imporre un modello narrativo, ma anche il suo limite: l’abolizione della complessità. Possiamo essere quella cagionevole (Beth) o quella ambiziosa (Jo), quella elegante (Amy) o quella pratica (Meg), mai più d’una cosa alla volta, mai contenere moltitudini. In questo, nel suo raccontarci delle figurine monodimensionali che, se sbagliano, corrono a pentirsi e a redimersi, Piccole donne è invecchiato malissimo.

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Il film Piccole donne del 1949, con Janet Leigh (Meg), June Allison (Jo), Margaret O’Brien (Beth), Elizabeth Taylor (Amy).

Non è un caso che Meryl Streep si sia presa, nel film della Gerwig, il ruolo migliore: quello della zia March, una vera stronza. Nella miniserie su Sky, la interpreta Angela Lansbury: a rileggere il libro oggi, mi pare l’unico ruolo che una gigantessa dello schermo possa volere per sé, in quella giostra di lagne che è per il resto Piccole donne. Ma è evidente che mi sbaglio, se in precedenti riduzioni d’una storia che è stata portata al cinema molte volte c’è stata una Jo fatta da Katharine Hepburn e una Amy che aveva gli occhi di Liz Taylor, non esattamente due facce minori nella storia del cinema. Persino la più lagna di tutte – la madre, con le sue continue istanze morali e il suo ipertrofico spirito di sacrificio – è stata interpretata da Susan Sarandon e lo sarà, nella versione di Gerwig, da Laura Dern.

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Kevork Djansezian//Getty Images
Da sinistra, Meryl Streep con la regista Greta Gerwig.

Tutte vogliono fare Piccole donne, per quanto sia invecchiato male, perché tutte vogliono essere un pezzo della formazione di tutte, un classico che ci ha fornito tutti gli archetipi femminili che ci servivano (che cosa sono Hannah e Marnie di Girls, se non una Jo e una Amy?). E tutte vorremmo essere la trentaseienne Louisa May Alcott, che sbuffa, scalpita, dice che le stanno facendo scrivere una cosa noiosissima, e poi si ritrova così stravenduta che sei mesi dopo già pubblica Piccole donne crescono, e ammette che il romanzo noioso è diventato «l’uovo d’oro del brutto anatroccolo». È un archetipo anche lei, alla fine: quella che nessuna ricorda per le intenzioni satiriche, ma tutte per la crudeltà d’aver fatto sposare Jo col più noioso degli uomini. Non che il marito che tocca a Meg sia uno spasso, o la morte di Beth un’allegria. Vorremmo tutte essere Louisa, che da 150 anni ci fa appassionare a dei personaggi che lei così evidentemente odia.

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Una scena di Piccole donne del 1933, diretto da George Cukor, con Katharine Hepburn nella parte di Jo.