Non crediamo all'equazione secondo la quale il web è unicamente un veicolo d'odio. Anzi, ci sono storie, anche recenti, come quella legata alla pop star Demi Lovato finita qualche tempo fa in ospedale per una sospetta overdose e attorno alla quale si sono moltiplicati i messaggi di sostegno, in cui è l'amore e la voglia di supportare qualcuno in difficoltà a fare da traino. Ci sono, però, altrettanti e altamente spaventosi esempi che ci mostrano di quanto sia facile aizzare la rabbia della massa, cieca e sorda e pure stupida, contro coloro che, agli occhi miopi degli haters (che dovrebbero avere un nome meno cazzuto, e più da idioti quali sono), si sono macchiati di qualche colpa, oppure più banalmente non piacciono. I fatti che in questi giorni vedono protagonista la pop star Ariana Grande, portano, appunto, i segni dei morsi dell'odio, e la ragione ha molto più a che fare con il sessismo di qualunque altra cosa sia stata abbinata di recente a questo termine. Sì, perché la cosa più tenera che Grande s'è vista scrivere su Instagram dai fan del rapper Mac Miller (scomparso il 7 settembre a causa di un'overdose) è stata "maledetta assassina; spero che morirai anche tu”. Se non conoscete i dettagli della vicenda, chi vomita queste atrocità sui social è convinto che la 25enne originaria della Florida sia responsabile della prematura morte del suo ex fidanzato, il rapper di grande talento e pari fragilità mac Miller, con cui è stata dal 2016 a maggio del 2018.

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Come vedete, i commenti al post con il quale Ariana ha voluto ricordare Miller sono stati tutti cancellati, per l'impossibilità di controllare, moderare, rispondere a tutta quella folle violenza. Come a prevedere ciò che da lì a poco sarebbe successo, la giornalista femminista Mona Eltahawy aveva scritto, dopo che si era diffusa la notizia della tragica morte del rapper 26enne, questo tweet: «Le donne e le ragazze devono sapere che non sono responsabili per il benessere di uomini e dei ragazzi. Troppo spesso sulle donne grava non solo quello che è chiamato lavoro emotivo (la miriade di compiti che ci accolliamo o che ci sono attribuiti da stereotipi patriarcali e aspettative sociali), ma ci dobbiamo anche adoperare per salvare gli uomini. Questo non è il nostro lavoro». Grossomodo, insomma, quello che la stessa Ariana Grande aveva scritto su Twitter, in risposta al primo degli accusatori, ovvero un fan di Miller che le attribuiva la responsabilità della sua deriva di abusi di sostanze; a quelle accuse (riassunte in "non solo hai mollato un tossicodipendente ma addirittura ti sei di nuovo fidanzata, svergognata") aveva risposto: «Quanto è assurdo minimizzare il rispetto e l’autostima di una donna dicendo che lei dovrebbe rimanere in una relazione tossica perché è stato scritto un album sulla sua precedente storia. Io non sono una babysitter o una madre e nessuna donna dovrebbe sentirsi in dovere di esserlo. Mi sono presa cura di lui e ho cercato di sostenerlo e ho pregato per il suo equilibrio per anni e lo farò per sempre. Far vergognare / incolpare le donne per l’incapacità di un uomo di tenere insieme i suoi guai è un problema molto grave».

E, come aggiunge in modo ineccepibile la giornalista dell’Huffington Post Jenna Amatulli, «presentare Grande in modo così prominente nei resoconti della morte di Miller, significa implicare che lei sia in qualche modo coinvolta negli eventi che lo circondavano, anche se non c’è assolutamente alcuna prova di questo. È un modo riduttivo per trattare entrambi. Per Miller, banalizza la sua carriera. Per Grande, suggerisce che lei è cattiva perché l’ha lasciato e ha iniziato una relazione con qualcun altro. Questa è una cosa particolarmente pericolosa da fare perché rappresenta un cattivo esempio per le donne che hanno paura di rompere le relazioni tossiche e si sentono responsabili del comportamento autodistruttivo di un uomo. Quindi, fai un favore mondo: piangi Mac Miller senza coinvolgere Ariana Grande». E il punto è proprio questo: la caccia a un colpevole da additare pubblicamente, da mettere alla gogna nel mondo virtuale, ma non poi così tanto, del web, è una delle deviazioni più pericolose di quei sennò del tutto amorevoli luoghi che sono le fan base. Che, come armate che si muovono in nome del loro paladino, possono scagliarsi a fronte unito contro il nemico da neutralizzare. E talvolta sono gli stessi artisti a fare da master of puppets di questi scellerati in cerca di sfogo, di linciaggio. Un esempio lampante è quello della rapper Nicky Minaj, ribattezzata The Queen, che usa premiare i suoi fan non con autografi bensì con i like di Twitter, che distribuisce solo a coloro che elaborano i contenuti di maggior supporto e adorazione. È una forma di devozione che Minaj ha personalmente nutrito ma che non anima solo sentimenti positivi anzi: quando un giornalista di Billboard USA scrisse sui social che Minaj aveva cancellato il suo prossimo tour negli Stati Uniti (dopo averlo posticipato), Minaj ordinò ai suoi fan, soprannominati "The Barbs": "Portatemi il nome di questo tale e colpitelo". Ma per una come lei che tenta di manovrare le emozioni peggiori dei suoi fan, tante ce ne sono che subiscono l'hate speech senza una precisa ragione, se non quella, nelle testa di chi insulta, di essere venute meno al ruolo del tutto patriarcale di salvatrici e crocerossine. Come Grande, anche Asia Argento è stata accusata dai tantissimi fan del suo fidanzato Anthony Bourdain di essere stata la causa del suo suicidio.

Anche Asia, come Ariana, ha dovuto cancellare e bloccare i commenti alle sue foto su Instagram, perché troppo era l'odio, troppa la violenza. Perché davvero non c'è luogo che possa far sentire più uniti e connessi da una comune passione/idolatria, come più spaventati dalla ferocia di certe crociate, come le fan base, di oggi ma anche di ieri. Tant'è che proprio una band non dei giorni nostri, ma comunque abbastanza nota che risponde al nome di The Beatles, disse, per voce di Paul Mc cartney, che la ragione per cui avevano interrotto il tour emanano proprio i fan, troppo chiassosi, troppo invadenti, praticamente insopportabili. Figurarsi gli haters.