Bisogna partire dalle americane. Da quelle che, ancora più spesso di «Come si mangia bene in Italia», ti sospirano «Come sono eleganti gli italiani», e tu ti chiedi di chi parlino: avranno visto Fedez su Instagram? Forse Gianluca Vacchi? Quando domandi a chi si riferiscano, il nome che fanno è sempre e solo lui: Marcello Mastroianni. A quel punto sospiri anche tu, e cominci a chiederti: che fine hanno fatto? Dove sono gli uomini che erano patrimonio dell’ente del turismo, per farsi sedurre dai quali si veniva in gita in Italia? È solo retromania, quella nevrosi che ti fa sembrare migliore tutto ciò che è passato? Mentre mi facevo venire il dubbio che la nostalgia mi offuscasse la lucidità, ho visto da lontano, in una stradina milanese, uno vestito come Gigi Rizzi: nella nebbia della miopia intuivo i primi bottoni della camicia aperti, le catene. Mi sono messa gli occhiali per studiare l’evoluzione del modello. Era Fabrizio Corona. La nostalgia non è più quella di un tempo, diceva Simone Signoret.

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Gigi Rizzi con Brigitte Bardot a Saint-Tropez nel 1968.

Il giocattolo si è rotto coi reality, e con quel loro linguaggio che ha debordato ovunque: come si può trovare attraente uno che rivendica «Sono sempre me stesso, dico sempre quello che penso»? Vittorio Gassman, che era così innamorato di sé da farci innamorare tutte, sapeva quale fosse la cosa più importante: mentire. «Sono nato bugiardo», si compiaceva, aggiungendo che non credeva che la passione potesse durare più di un anno: «Cambiare casa o moglie è una cura che ringiovanisce molto». Mentre Gassman divorziava a ripetizione, Mastroianni restava tutta la vita sposato a Flora; il che non gli impediva, con le altre (fossero Faye Dunaway o Catherine Deneuve), di straziarsi d’amore o figliare. La ricetta dell’impasto di bugie e candore i cui dosaggi sono andati perduti negli ultimi anni è evidente in una puntata del 1987 del programma di David Letterman, uno scontro di civiltà con Mastroianni ospite. Letterman gli chiede delle donne, e poi gli dice «Ma lei ha una moglie». Marcello sospira che lui vuole farle felici tutte. «Lo so che da voi non si usa così». Letterman ride. Chiede: è una cosa europea? Mastroianni risponde: italiana di sicuro.

Passeranno molti anni prima che David confessi, in quello stesso programma, d’avere per anni tradito la madre di suo figlio con donne che lavoravano con lui. Lo confessa perché lo stanno ricattando, mica perché ha quella soave faccia di tolla da sex symbol italiano, di quelli che se dicono «Sono fatto così», non lo fanno per rivendicarlo: sanno che è un limite, e si aspettano che venga loro perdonato in nome d’un’irresistibilità che trascende i difetti.

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Marcello Mastroianni ai tempi del film 8 ½ di Fellini.

Può sembrare che Mastroianni sia il contrario di Gassman: uno menzognero e disposto a lasciare e farsi lasciare, l’altro che cerca di far durare tutto in eterno e però sincero. Macché: non lasciarne mai nessuna richiedeva «un oceano di bugie. Dette a fin di bene. Penso: senza di me lei vivrà male, non sarà abbastanza amata e protetta come da me; quindi è mio dovere preservare questo rapporto a qualunque costo per amor suo». Il delirio di onnipotenza li accomunava e – qualunque attore abbia studiato il metodo Strasberg lo sa – la convinzione è convincente: erano così certi che senza di loro non potessimo vivere che alla fine ci credevamo anche noi. Pochi giorni dopo sarebbe uscito Il falò delle vanità, il cui protagonista capiva che l’unico modo per far trionfare la verità era mentire; quella sera da Letterman, Mastroianni invertì la formula: l’unico modo per farsi perdonare il proprio essere dei magnifici bugiardi è dire la verità.

Si è proprio estinto, dunque, l’italian manzo, capolavoro di stile anche quando conciato da straccione (Giancarlo Giannini in Travolti da un insolito destino, Mastroianni in Dramma della gelosia), capace di farsi perdonare tutto, e che, per quanto si sforzasse, non riusciva mai a essere fuori posto o fuori tono? A un certo punto della crisi politica, mentre ipotizzavo che Di Maio sembrasse il Trintignant del Sorpasso, letalmente affidatosi a uno più sbruffone ed egoista, mi sono fermata con terrore: vorrebbe dire che Matteo Salvini è il Vittorio Gassman di quest’epoca, già ho scambiato Corona per Rizzi, il dio dello stile mi punirà.

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Vittorio Gassman negli anni 60.

A chi possiamo dare la colpa dell’estinzione? Al politicamente corretto? (Oggi, il Giannini che dice«Bottana industriale» verrebbe accolto, invece che dallo sdilinquimento di Mariangela Melato, da hashtag indignati che pretendono scuse). Oppure alla mistica del sestessismo? Mastroianni candidamente confessava a un giornalista che quella storia della tenuta di campagna ereditata dal nonno era falsa, «Questo posto l’ho comprato quando sono diventato un arricchito del cinema, il nonno me lo sono inventato per dargli una storia»; allora, era un magnifico cialtrone che ammetteva ridendo d’aver mentito sulla giacca di velluto del nonno che indossava allorché in campagna; oggi, ci piccheremmo di sputtanarlo svelandone le origini, foto del vero nonno squattrinato, punti esclamativi, linciaggi a mezzo hashtag: non sono più tempi per il fascino della menzogna. Forse, ed è l’ipotesi più triste, siamo cambiate noi. Per diventare Gigi Rizzi ti serve l’altra metà della leggenda: una Bardot. Perché «bottana industriale» ti suoni come un afrodisiaco, devi avere la sicurezza di te d’una Melato. Per essere Mastroianni serviva poter rispondere, quando Letterman chiedeva come mai sua moglie accettasse tante distrazioni, «È molto più intelligente di me».