Non sappiamo distinguere la verità. In un post pubblicato su un blog creato all’uopo, Moses Farrow (in primo piano da piccolo nella foto d'apertura con tutta la famiglia e sotto in un post recente) ha raccontato la sua versione dei fatti successi il 4 agosto 1992. È il giorno in cui sua sorella Dylan sostiene – dal 2014 sul New York Times – di essere stata violentata da Woody Allen.
Molte delle cose che Moses scrive erano già state discusse allora in un’intervista a People, o riferite in un libro (Woody Allen dall’inizio alla fine, di Eric Lax) uscito nel 2017. In entrambi i casi: perlopiù ignorate. Ma «adesso che l’isteria collettiva si è un po’ placata» – scrive dopo che il fratello Ronan ha vinto il Pulitzer per aver contribuito a denunciare l’impunità dei predatori di Hollywood: Harvey Weinstein, consegnatosi alle autorità, è stato rilasciato su cauzione con obbligo di braccialetto elettronico, Woody Allen ostracizzato – «spero che la verità venga ascoltata». Lui c’era.
Mia Farrow era la santa patrona della maternità compulsiva: oltre a quelli con Woody aveva altri sette figli. «Per lei era fondamentale proiettare l’immagine della famiglia allargata e felice, ma niente poteva essere più lontano dalla verità». Una volta, ricorda, lo incolpò di aver nascosto un metro a nastro: prima lo prese a schiaffi, poi lo obbligò a recitare una confessione più volte, fino a suonare convincente.
All’epoca della denuncia, «la deposizione di Dylan venne definita dagli inquirenti “concertata, come se la bambina fosse stata istruita o influenzata”. Istruire, influenzare, concertare sono tre parole che riassumono perfettamente lo stile educativo di mia madre». Secondo Moses anche le morti di tre dei suoi fratelli – per Aids, suicidio, overdose – sono da imputare a Mia e alla sua incapacità di tollerare realtà diverse da quella che aveva deciso.
In confronto, Woody era un padre normale. Non viveva con loro, ma «spesso arrivava alle sei e mezzo del mattino, con due giornali e un sacchetto di muffin. Io mi svegliavo prima di tutti, e ci sedevamo in cucina a fare colazione. Lui prendeva il New York Times, io mi fiondavo sul Post per leggere i fumetti […] Giocavamo a palla, a scacchi, andavamo a pesca o a fare due tiri a canestro. La sera veniva a casa: non l’ho mai visto comportarsi in maniera inappropriata». Quando Mia scoprì la storia con Soon-Yi, tutto cambiò. «Era furiosa. Ripeteva come un mantra che Woody era cattivo, un mostro, il diavolo. Lo diceva così spesso che un giorno [Ronan] annunciò alla tata “Mia sorella scopa con mio padre”. Aveva quattro anni».
Il pomeriggio del 4 agosto, Mia era uscita lasciando i ragazzi con il padre e tre baby-sitter a guardare in tv Chi ha incastrato Roger Rabbit?. In quanto «uomo di casa» – aveva 14 anni – Moses era stato istruito: doveva vigilare sulla sua famiglia. E dopo mesi di «lavaggio del cervello», nessuno avrebbe permesso a Woody di allontanarsi con la bambina. Invece, dice Dylan, «Woody Allen mi portò per mano in una specie di soffitta buia. Mi fece sdraiare a pancia in giù per giocare col trenino elettrico di mio fratello, e poi mi violentò». Sostiene Moses che non c’era nessun treno. Anzi, non c’era proprio la soffitta: «Era una specie di intercapedine grezza, col tetto spiovente, i chiodi esposti e le travi a vista, piena di trappole per topi e scatoloni di vecchi vestiti. L’idea che potesse ospitare un trenino è ridicola. Ogni volta che sento Dylan raccontare la storia di quel giorno – aveva appena sette anni – riesco solo a pensare a questo trenino immaginario».
Non sappiamo comporre la verità. Quella giuridica: due distinte investigazioni hanno concluso che non c’è stato abuso. Quella popolare: Allen è colpevole; peggio: immorale. Quella di Moses: la relazione con Soon-Yi è «trasgressiva e sgradevole, […] ma neanche lontanamente distruttiva quanto l’ostinazione di mia madre a fare di quel tradimento il centro delle nostre vite». E la verità di Ronan, che ha smentito le accuse del fratello con una nota su Twitter: la portata sociale delle sue inchieste sarebbe diversa, se alla base della (quasi) innata vocazione a «dar voce alle vittime» ci fosse una bugia? L’unica cosa certa è che Dylan non mente. E allora che sia stata davvero violentata dal padre, davanti a un trenino immaginario, diventa la più rassicurante delle ipotesi. Non sapremmo reggere un’altra verità.