“Come sono arrivata fin qui? Facendo progetti. Il prossimo: un canale YouTube dove raccontare la mia storia. Forse potrò essere d’aiuto a qualcuno. Me lo hanno ribadito gli esperti – oncologi, psicologi – che mi seguono da 13 anni: per uscire dal down, la cosa più bella che potevo fare per me era pensare al futuro. Anche giorno per giorno, è importante avere obiettivi. Risvegliarsi senza un seno. A 25 anni. A me è successo, e mi ha cambiato la vita. Mi chiamo Maddalena, ho 38 anni, vivo a Taranto col mio compagno e Aaron, il nostro cane corso. Insieme abbiamo appena terminato il primo livello del corso da sommelier. Ma ho tante passioni: la fotografia, il make up, il nuoto, le passeggiate, la bici, la musica. L’anno scorso ho anche partecipato, “travestita” da rockstar, al progetto di un’associazione di donne di Taranto – tutte pazienti oncologiche o ex – che hanno prestato la loro immagine per un calendario: il ricavato è stato destinato all’acquisto di parrucche per donne in chemioterapia che non possono permettersele. Progetti, appunto. Insegno alla scuola primaria, ma il mio sogno era lavorare come fisioterapista. L’ho anche fatto per qualche anno, con una laurea ad hoc. Ma nel 2005, a poche settimane dalla discussione della tesi, sotto la doccia – un classico – scopro una “pallina” sospetta. Ho un seno fibromatoso, perciò ho cominciato a controllarmi presto. Solo nove mesi prima avevo fatto un’ecografia andata bene. Il nodulo, 4 centimetri di diametro, vicino al capezzolo, al radiologo non era sembrato cattivo. Invece mi sono svegliata dall’operazione priva della mammella sinistra: era un carcinoma mammario duttale infiltrante, uno dei peggiori che potesse capitarmi.

Uno choc. Quando ho aperto gli occhi la prima cosa che ho visto sono stati i miei genitori. Mia madre non riusciva a parlare, me lo disse mio padre. Scoppiai a piangere: c’è voluto molto tempo per accettare il mio corpo. Anche se sono stata più “fortunata” rispetto a tante donne operate in passato, grazie all’inserimento di un espansore sottomuscolare che mi ha risparmiato la sensazione di vuoto totale. Dopo l’intervento, la chemioterapia. Avevo incamerato rabbia, ero molto aggressiva. Mi è servito continuare a lavorare per l’Osmairm, centro che si occupa di fisioterapie a domicilio: avevo tanti amici, adoravo l’intrecciarsi di vite e la possibilità di aiutarli, perché aiutavo anche me stessa. Ma il braccio sinistro ha iniziato a gonfiarsi e ho dovuto smettere, optando per l’insegnamento. Per fortuna, l’operazione, per quanto brutale, era andata bene e così la chemio. Ero guarita, ma la guardia restava alta. Nel 2008 sono venuta a Milano all’Istituto dei Tumori per la ricostruzione, con un’ottima riuscita.

Ero rinata: andavo in palestra tutti i giorni, stavo attenta alla dieta, avevo un nuovo fidanzato. L’oncologo decise che era ora di interrompere la terapia ormonale antitumorale. Mi sembrava di essere uscita dal tunnel. E invece, ci stavo entrando. La storia d’amore finì malissimo. Pochi mesi dopo i controlli rivelarono che i marker tumorali avevano ricominciato a circolare nel mio sangue. L’oncologo lo attribuì allo stress, minimizzando. Optai per un secondo parere. Ricovero e due settimane di esami che non lasciarono dubbi: avevo metastasi epatiche – il fegato ne era pieno – sulla pleura sinistra e su una vertebra dorsale. Uno dei medici disse ai miei genitori che il tumore alla mammella si era esteso. La situazione era molto grave, avrei potuto non farcela. L’unica strada, ripartire con la chemio. E pregare.

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Era il 2011. Avevo 31 anni. E dovevo ricominciare da capo. Stavolta, però, sentendomi spacciata. Mi vedo ancora mentre cammino per la strada, la paura di morire stampata in faccia. Invece che rabbia, depressione e isolamento. Dove ho trovato la forza? Nella mia famiglia, nei miei parenti, anche quelli più lontani, che si sono messi a fare il tifo per me. E negli oncologi che mi hanno detto di credere nella scienza: la ricerca scopre ogni giorno nuove strade che si possono tentare e ogni giorno guadagnato è quello in cui potrebbe arrivare una nuova terapia che farà guadagnare altri giorni. Ho cominciato così questi sette anni di chemio, molte sperimentali, che continuano. È come un’altalena: quando cominci un nuovo ciclo vai alle stelle, perché stai meglio e se gli esami di controllo sono buoni sei felice. Nonostante gli effetti collaterali.

La nausea, certo. Ma pure una neuropatia periferica generale: non ho più sensibilità ai polpastrelli e anche la postura è cambiata, perdo l’equilibrio più facilmente. Ho il ciclo bloccato e sono ingrassata anche fino a 10 chili. Ho perso sopracciglia, capelli, ciglia, unghie. La pelle è diventata più sottile e così le vene. Ma i momenti peggiori li vivi quando occorre cambiare terapia: perché le metastasi hanno ripreso a crescere, il tumore corre più veloce di te e devi raccogliere le forze per superarlo di nuovo. Perché persone che hai incontrato in ospedale vanno via per sempre. Perché continui a incontrarne di nuove e non sai fino a quando. Io sono ancora qui, e mi ritengo fortunata. Ma a volte rifletto: sì sono forte, sì sono una grande, sì sono una veterana, il mio corpo ce la farà... Però la malattia mi ha messo di fronte alla morte, qualcosa
a cui non si pensa mai o quasi. Io ci penso da quando avevo 25 anni. Però ho anche imparato a credere e a sperare: i cambiamenti nella vita di noi pazienti sono legati ai progressi nella ricerca.

Quest’anno è avvenuto una specie di miracolo che attendevo da anni: un farmaco per le donne che, come me, hanno tumore al seno metastatico HR positivo/HER2. Lo assumo per bocca, a casa, senza dover fare code in ospedale, e con effetti collaterali quasi nulli: ho solo una neutropenia, un calo temporaneo dei globuli bianchi che richiede terapie di sostegno al sistema immunitario. Dopo 13 anni mi sono ricresciuti i capelli: non immaginate la felicità di rivedersi con una chioma fluente e sana. E le ciglia. Ma vi prego, credete anche voi nei progressi della ricerca: gli stessi che hanno permesso a me, donna con un tumore metastatico data per spacciata, di continuare
a vivere. Vivere, e non sopravvivere".

(testimonianza raccolta da Mariateresa Truncellito)

Le azalee per la ricerca

Domenica 13 maggio 2018, Festa della Mamma, in 3.700 piazze italiane torna l’Azalea della Ricerca di Airc, fiore simbolo della lotta contro i tumori femminili che in cinque anni ha permesso ad Airc di investire oltre 64 milioni di euro in 498 progetti
di ricerca e in 126 borse per studi su prevenzione, diagnosi e cura dei tumori al seno (65.800 diagnosi nel 2017) o agli organi riproduttivi (15.800 diagnosi). A fronte di una donazione di 15 euro con la pianta si riceve un’utile Guida su prevenzione e diagnosi precoce. Per trovare l’Azalea nelle vostre città: airc.it o numero speciale 840 001 001.

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Il 5 x mille per battere le metastasi

Sono oltre 35mila le italiane che convivono con un tumore al seno metastatico, che si è cioè diffuso, in particolare a ossa, cervello, fegato e polmoni. E sono quelle che devono lottare di più per guarire. Se in alcuni casi le metastasi sono presenti per un ritardo nella diagnosi o per cure non del tutto efficaci, in altri sono associate a una forma di cancro del seno detta “triplo negativo”, circa il 20 per cento dei tumori mammari. Sulle cellule di questi tumori mancano i recettori per la proteina HER2 e per gli ormoni estrogeni e progestinici. Senza queste “porte di ingresso” i farmaci più innovativi – come quello adatto per il caso di Maddalena, di cui avete letto la storia qui sopra – non trovano i bersagli necessari per agire. Anche per que­sto il cancro del seno triplo negativo è più aggressivo e complicato da curare.

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Airc sostiene anche questa sfida, e in particolare il pro­gramma 5 per mille coordinato da Giannino Del Sal, responsabile dell’Unità operativa triestina del Laboratorio nazionale del Consorzio interuniversitario
di biotecnologie, sul tumore al seno triplo negativo. L’ultima scoperta, pubblicata
a dicembre 2017 su Nature Cell Biology, riguarda la proteina p53 mutata, tra i più pericolosi acceleratori della malattia: i ricercatori hanno dimostrato che le caratteristiche fisiche dei tessuti tumorali (rigidità e durezza) ne stimolano l’attività. È un nuovo punto di vista da cui cercare i punti deboli del tumore che coinvolge anche vie metaboliche come quella che porta alla sintesi del colesterolo e farmaci già noti come le statine.

(Le foto di questo articolo non ritraggono la persona di cui abbiamo raccontato la storia).