Lo guardi, seduto davanti a te, in jeans e maglione di cashmere, e non puoi non pensare al suo corpo muscoloso – che più di una volta ha subìto trasformazioni impossibili – fasciato nella tuta in latex di Batman nella trilogia di Christopher Nolan, che lo scelse perché «possedeva esattamente l'equilibrio tra l'oscurità e la luce che stavano cercando».

Un talento, quello di Bale, che ha radici profonde, piantate a 13 anni, quando fu scoperto da Steven Spielberg, che lo volle protagonista de L'impero del Sole, il film del 1987 grazie al quale si affermò come giovane attore.

Da lì in avanti, la sua carriera è stata un'ascesa continua: daAmerican psycho a L'uomo senza sonno passando per L'alba della libertà, fino all'Oscar come miglior attore non protagonista nel 2011 grazie al pugile di The fighter e alla nomination del 2014 per American hustle – L'apparenza inganna.

Ora è al cinema con un altro personaggio forte e controverso, il Mosè del maestoso Exodus – Dei e re, di Ridley Scott, insieme a Joel Edgerton (il faraone Ramses), Sigourney Weaver e Aaron Paul, che racconta l'esodo del popolo ebraico narrato dalla Bibbia, e sarà in concorso al 65° festival di Berlino (dall'8 al 10 febbraio, berlinale.de) con Knight of cups di Terrence Malick.

Secondo Ridley Scott lei era l'unico attore in grado di interpretare il suo Mosè.Non so se prenderlo come un complimento, è uno dei personaggi più barbarici che abbia mai interpretato. Rispetto molto il suo ruolo di profeta nelle varie religioni, ma nonostante tutte le buone azioni era un uomo inquieto, rissoso, tempestoso, che lottò contro Dio e la propria vocazione religiosa. Di fatto, però, è stato molto interessante vestire i suoi panni.

E l'ha fatto in modo magistrale. Sembra che interpretare eroi le riesca molto bene. Nella vita, chi è il suo?Mio padre, da sempre: un uomo carismatico che ha avuto una vita interessantissima. Amava l'avventura e credeva che plasmare il proprio destino fosse l'unica missione nella vita.

Lei incoraggerá i suoi figli a seguire i suoi passi?Assolutamente no, anzi: tra l'altro, mia figlia Emmeline sa benissimo che lavoro faccio e lo trova molto noioso. Per me non è sano incoraggiare un bambino a recitare: non ho mai amato l'attenzione che ricevevo come attore e ho sempre cercato di proteggere la mia vita privata. Per me il cinema è stato un modo per scappare dalla scuola, non sarei mai riuscito a laurearmi. Mio padre invece li incoraggerebbe: avrebbe preferito qualsiasi mestiere, anche illegale, al lavoro in ufficio.

Lei e sua moglie Sibi siete una delle coppie più riservate di Hollywood.Sibi è la mia migliore amica, la mia roccia. Credo che non si possa vivere una vita interessante senza un partner al proprio fianco. Anche fare film senza di lei non avrebbe senso, il mio successo lo devo interamente al suo sostegno. E poi, ha la pazienza di una santa: mi immedesimo nei miei personaggi a tal punto che lei si ritrova sposata ogni volta con una persona diversa.

Per ripagarla di tanta dedizione, lei che fa?Cerco di vestirmi bene. Mi ama di più quando sono elegante, anche se il look casual mi ha salvato tante volte dai paparazzi. Essere riconosciuto per strada mi ha sempre creato problemi, quindi cerco di diventare invisibile per passare inosservato.

Quindi come si veste?Felpa con cappuccio, pantaloni sportivi, scarpe da ginnastica e occhiali, meglio se Ray-Ban classici. Solo per far contenta Sibi, che ama la moda, faccio qualche eccezione: ammetto che apprezzo sia lo smoking sia il sarto personale, a patto che rispetti e conosca il tuo gusto. Tra i miei preferiti ci sono Anderson & Sheppard di Londra e Jack Taylor di Beverly Hills, che ha vestito, tra gli altri, Clark Gable, Frank Sinatra e pure George Clooney, secondo me uno degli uomini più eleganti di Hollywood.

Che cosa le ha insegnato l'essere padre?Il senso dell'umorismo: mia figlia è tra le persone più divertenti che conosca, ogni giorno mi rende una persona migliore, mi fa dimenticare tutto quello che non è importante.

Ha mai pensato di cimentarsi con la regia?Amo il mio lavoro, ma non così tanto da dedicargli tutte le ore della giornata. Mi piace discutere con i registi, parlare della sceneggiatura, ma non credo di essere tanto devoto da vivere per il cinema. Non ho grande cultura cinefila: amo la gente, mi piace studiare comportamenti ed espressioni, ecco perché preferisco fare l'attore.

Le è mai capitato di lavorare con qualcuno di insopportabile?Parecchie volte! Per questo sono diventato molto zen, ho imparato il significato profondo di tolleranza, e ad apprezzare la fortuna che abbiamo nel fare questo lavoro.

(Roberto Croci – foto Mark Saliger)