Lino Guanciale ama profondamente il suo lavoro. Glielo leggi negli occhi, al fondo di quello sguardo malandrino tipico di chi dice "questa è l'ultima, poi smetto" e in realtà non si ferma mai. La sua è una passione genuina, quasi d'altri tempi, che lo spinge voracemente di set in set, di ruolo in ruolo. Più che la sua fama di sex symbol (meritata), è proprio questa sua eclettica onnipresenza a stupire: dal 16 novembre 2017, per esempio, Guanciale è al cinema con la commedia La casa di famiglia, in un super cast composto da Matilde Gioli, promessa del cinema italiano, Libero De Rienzo e Stefano Fresi. Nel frattempo però l'attore è già alle prese con il set della fiction Rai Non dirlo al mio capo 2 (ma lo attendono anche i sequel di La porta rossa su Rai Due e L'allieva su Rai Uno) dopodiché lo vedremo a teatro nello spettacolo La classe operaia va in Paradiso e, a gennaio, di nuovo al cinema nel film Arrivano i prof al fianco Claudio Bisio.

Ma non è stanco?

Punto all'ubiquità! Forse ce la faccio per il 2018.

In questi anni lei ha interpretato moltissimi ruoli, immergendosi in altrettante vite. Non inizia ad avere nostalgia della sua?

Un po' sì. Quando trascorri tanto tempo sul set (e a me capita di starci anche 12 ore al giorno!), oppure quando sei chiuso a teatro a provare, hai inevitabilmente poco tempo da dedicare alla tua vita privata. Quando questo accade, è come se avessi addosso un perenne jet lag. Ecco, mi sento proprio così: come se fossi sempre in aeroporto, ossia in un non - luogo. So però che si tratta di uno stato transitorio: punto, da qui a qualche mese, ad avere più tranquillità e recuperare il fiato.

C'è da dire che il suo ruolo in La casa di famiglia è molto ironico, distante anni luce dal modello di maschio alfa che solitamente propone nelle fiction. Sbaglio, o si è divertito parecchio a interpretarlo?

Moltissimo! Il mio personaggio, Alex, è un po' il motore dei guai che coinvolgono la famiglia. Tra l'altro sia La casa di famiglia che I peggiori, entrambi prodotti dalla Iif, mi hanno dato l'opportunità di toccare corde diverse rispetto a quelle esplorate in tv. Questo non solo mi ha divertito enormemente ma mi tornava anche utile professionalmente: bisogna dare prova di versatilità. A teatro mi capita di continuo di interpretare ruoli brillanti, al cinema invece solo adesso stanno arrivando occasioni per dare sfogo alla mia stupidera.

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Lino Guanciale in La casa di famiglia

All'interno di questa vasta gamma di personaggi, che vanno dal furfantello Alex al seduttivo Conforti de L'allieva, dove si colloca Lino Guanciale ?

Le do una risposta ambivalente, giustificandomi con il mio segno zodiacale.

In che senso, scusi?

Sono una cuspide, toro-gemelli: non credo molto nell'astrologia ma mi hanno sempre detto che, essendo nato così, sono caratterialmente "anfibio". Pertanto le do una risposta ambivalente o, mi passi il termine, anfiboidale. Credo di oscillare tra due personaggi: da un lato mi rivedo in Cagliostro de La porta rossa perché caratterialmente sono introverso quanto lui, sebbene io sia più educato. Dall'altro lato c'è proprio Alex, per la sua componente di inventiva, di cazzaritudine…

Il successo l'ha resa più sicuro di sé o ci sono fragilità che nemmeno la fama può lenire?

Se si riferisce ad alcune mie idiosincrasie, come contare le cose, diciamo che adesso va meglio. Però quando sento che sono troppo tranquillo rispetto a un lavoro che sto per incominciare, mi preoccupo. C'è un'antica legge che i miei maestri mi hanno insegnato (da Ronconi a Gigi Proietti) secondo la quale, se inizi a dare del "tu" al tuo lavoro, poi finisce che non lo fai bene, senza la dovuta attenzione. Sicché mi tengo cara una forma di nevrosi e di ansia che mi aiuta ad affrontare le cose con la giusta concentrazione.

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Courtesy Photo
Lino Guanciale nella fiction La porta rossa

In tutto questo, come si fa a rimanere con i piedi per terra?

Per me è una condizione naturale. Sono arrivato al successo dopo molti anni di gavetta: l'aver vissuto i vari stadi di lavoro che precedono un certo tipo di riconoscimento, ti aiuta a tenere la testa su ciò che conta, ossia a non perdere di vista l'obiettivo di fare bene il tuo lavoro. Se rimani concentrato su questo, riesci a prendere con la giusta ironia tutti gli altri aspetti del mestiere: dal selfie con la fan ai messaggi di stima.

Qual è secondo lei un talento che fa la differenza nella recitazione?

La curiosità, perché consente di immaginare condizioni di vita che non ti appartengono e soprattutto di costruire un ponte tra la tua quotidianità e quello che sono i personaggi. Nei ruoli che interpreto c'è infatti sempre una porta aperta su di me, ossia sulla mia umanità, che metto a disposizione di chi guarda. Quest'umanità, però, è un misto di esperienze che ho vissuto, di fantasia, di letture e di persone che ho osservato. Ecco una cosa che non ho mai smesso di fare, pur stando in un non luogo come il set, è osservare le persone. A volte in maniera pericolosa.

Perché pericolosa?

È un'abitudine che coltivo fin da quando ero bambino: se vedo due persone camminare vicine, mi piace immaginare se sono insieme, come si sono conosciute, che tipo di relazione hanno. E poi adoro imitare i gesti e la postura delle persone.

Cosa pensa del caso Weinstein?

È sano che certe schifezze vengano fuori. Però ecco, posto che Weinstein fa schifo – e va detto e ribadito, soprattutto dai maschi – credo che per essere efficace questa polemica debba evolvere in un fenomeno culturale di revisione dei comportamenti. È su questo che bisogna lavorare. È chiaro che le denunce di chi ha subito molestie fanno la loro parte ma, o questo diventa occasione per fare un discorso complessivo sul modello di virilità nel quale siamo tutti immersi (uomini e donne) oppure non diventa una eredità culturale. Mi auguro che questo avvenga e nel mio piccolo cerco di fare la mia parte: se ho occasione, dico che i maschi possono essere meglio di così. Bisogna immaginarsi un altro modello di maschile.

Anche il dibattito sulla natura delle violenze (stupro o induzione alla prostituzione) sarebbe figlio di un approccio maschilista al problema?

Esatto: cavillare su questo aspetto, non porta da nessuna parte. Non apro il discorso su chi cerca visibilità facendo denunce, perché è chiaro che questa è una deriva realistica, ma il punto non sta lì: quei comportamenti fanno schifo, e basta. Quindi sia noi uomini sia le donne dobbiamo lavorare perché si inauguri una stagione di mascolinità diversa nella quale la virilità dell'uomo non deve coincidere con il potere che ha nei confronti di una donna. Sono convinto che sia questo il cuore del problema: l'idea di potere e di maschile che abbiamo.