Serio e inquisitorio al punto da apparire burbero, Harrison Ford è un uomo di poche parole e idee molto chiare: dopo essere tornato a interpretare Indiana Jones e Han Solo, due dei suoi indimenticabili personaggi, non poteva non reindossare i panni del cacciatore di replicanti Rick Deckhard. Trentacinque anni dopo il Blade runner originale, diretto da Ridley Scott, è il fil rouge tra ieri e oggi nel sequel Blade runner 2049 (al cinema dal 5 ottobre 2017) di Denis Villeneuve (Sicario, Arrival), che annovera nel cast, insieme a Ryan Gosling, Dave Bautista, Robin Wright, Ana de Armas, Jared Leto.

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Harrison Ford e Ryan Gosling nella locandina di Blade runner 2049, al cinema dal 5 ottobre 2017.

Perché ha scelto di tornare a essere Rick Deckard?

Perché nella nuova storia mi è stato ritagliato un ruolo che ho trovato geniale, molto interessante da interpretare. Qui le relazioni tra i personaggi sono piuttosto intense, tra loro c'è una connessione emotiva profonda che mi ha incuriosito. Rispetto all'ambientazione originale, sono successe parecchie cose, tecnologicamente, il mondo in cui viviamo è molto più avanzato rispetto alle previsioni di Philip K. Dick. Sotto altri aspetti, invece, siamo ancora molto lontani. La tecnologia ha due facce, porta danni, ma anche benefici, soprattutto a livello sociale. E poi trovo interessante reinterpretare un ruolo molti anni dopo, c'è un'evoluzione anche a livello artistico e creativo. Insomma, questa volta mi sono divertito un sacco.

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Harrison Ford nel primo Blade runner con Sean Young-Rachel, la replicante di cui si innamora.

Si ricorda il primo giorno sul set?

Sì, benissimo. Pioveva, e quindi mi sono sentito a casa. Era il giorno prima delle riprese, ho avuto l'occasione di familiarizzare con il set, elaborato e sofisticato, come solo Denis Villeneuve sa immaginare. Ryan stava girando una scena con una donna nuda, e la cosa mi ha fatto ingelosire, visto che per me, a 75 anni suonati, queste scene non sono più previste. Poi mi sono ripreso, appena ho scoperto che la ragazza in questione era in realtà un ologramma. L'altra cosa che ricordo è che ho chiesto a Denis di non farmi mangiare niente di vivo, niente insetti, vermi, cavallette...

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Harrison Ford in una scena di Blade runner 2049.

Da sempre ama gli animali e la natura. Quando è diventato anche ambientalista?

Dopo aver comprato il mio ranch in Wyoming, dove trascorro il tempo libero in famiglia. È un luogo incontaminato perché la gente è cosciente di quanto sia importante conservare delle regole. I ruscelli sono puliti perché qualcuno ha deciso di non inquinarli, e questo fa sì che l'ecosistema sia in ottima salute. La nostra salute dipende dalla vitalità dei nostri simili sulla Terra. Quando proteggiamo questi luoghi, proteggiamo non solo il futuro della medicina, dell'agricoltura e dell'industria, ma anche la condizione essenziale per la pace e la prosperità. Ma vaglielo a spiegare a Washington.

Ci descriva la sua giornata perfetta.

È quella senza paparazzi. Quella in cui prendo la moto e vado a farmi un giro con mia moglie (l'attrice Calista Flockhart, ndr). Quando costruisco qualcosa con le mie mani: anche se ho smesso di fare il falegname di professione quarant'anni fa, mi piace ancora lavorare il legno, fare oggetti per la casa o per i miei figli. Ma mi diverto un sacco anche a pilotare i miei aereoplani: ne ho otto, tutti diversi, tutti divertenti da guidare. Sono in pace con me stesso quando mi rendo utile, mi sento bene su un set, ma anche a bordo di un aereoplano. Non sono una persona contemplativa, non sono capace di stare con le mani in mano. Mi piace lavorare, devo sempre avere qualcosa da fare, altrimenti mi annoio e divento intrattabile.

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Harrison Ford con la moglie Calista Flockhart (52 anni) .

Com'è nata la passione per l'aviazione?

Da bambino, anche se ho preso la mia prima patente a cinquant'anni. Sentivo il bisogno di sviluppare altri interessi, che esulassero dal cinema. Non mi fraintenda: amo il mio lavoro, è sempre una sfida, una scoperta, ma non mi sentivo soddisfatto facendo «solo» l'attore. E anche la famiglia è sempre stata molto importante, ma avevo bisogno di qualcosa che fosse solo mio.

Per famiglia intende mamma e papà?

Sì, sono loro che mi hanno trasmesso, oltre alla passione per il cinema, i valori essenziali per diventare un uomo. Avevo 14 anni quando ho accettato il mio primo mestiere, in una cartoleria, e da allora ho sempre lavorato. D'inverno spalavo la neve, d'estate tagliavo l'erba. Pensi che, da ragazzino, anziché diventare poliziotto o pompiere, volevo consegnare carbone, proprio come gli operai che ci scaldavano le case con il loro lavoro quotidiano. Un lavoro nobile: il suono della pala contro l'asfalto mi faceva sognare.

Perché, a un certo punto della carriera, ha scelto di fare il falegname anziché continuare con la televisione?

Ho sempre mirato al cinema, a quei tempi la televisione era molto diversa da oggi, una volta che diventavi un attore televisivo era impossibile essere preso in considerazione per il grande schermo. Dopo la serie tv Il virginiano, ho avuto paura che se non fossi approdato in fretta al cinema, non ci sarei riuscito mai più. Preferivo guadagnarmi da vivere costruendo cucine su misura per gli attori, piuttosto che inflazionare la mia faccia in televisione. Non è stato un male: come falegname ho imparato che puoi sempre fare meglio della volta precedente, è diventato il mio credo, ho deciso che non avrei mollato finché non avessi ottenuto ciò che volevo. Sono stato tenace e perseverante, due qualità che mi definiscono ancora oggi.

Cosa le piace guardare adesso in televisione?

Qualsiasi programma di Vice Television (di cui è co-presidente il regista e produttore Spike Jonze, ndr), programmi di news, di informazioni sociali e, per colpa o merito di mio figlio Benjamin (che è uno chef, ndr), non mi perdo una puntata di Action Bronson, un rapper cuoco che sa fare delle frittate meravigliose, proprio come piacciono a me.

L'esperienza più strana che ha vissuto nella sua carriera?

Negli anni 70 diventai, per un breve periodo, uno dei cameraman dei Doors, li seguii in un tour. Erano ragazzi simpatici, ma per me un po' troppo folli. Fu una bella esperienza, ma non era quella la vita che volevo. Sono un tipo tranquillo, preferisco andare in elicottero.