La statuetta dell'Oscar la tiene in salotto, su un tavolino: certe sere, quando Eddie Redmayne rientra a casa un po' brillo, la vede e torna sui suoi passi, giusto per controllare. «La tocco, l'annuso, per verificare che sia vera». Quando la vinse, nel 2015, per aver interpretato Stephen Hawking in La teoria del tutto, aveva già iniziato le riprese di The danish girl, film per cui ha avuto una nomination all'Academy 2016, nei panni di Lili Elbe, la prima icona transgender del Ventesimo secolo.

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Eddie Redmayne in una scena di The danish girl.

«Ero molto nervoso, come sempre quando inizio qualcosa». A quanto pare l'ansia è un suo problema ricorrente, Eddie Redmayne l'attribuisce al fatto di non aver mai frequentato una scuola di recitazione. Ma, british per nascita e piacione per inclinazione, sa mascherare bene le emozioni. «Sono un uomo molto, molto fortunato», dichiarò infatti quella notte, ricevendo l'omino dorato nel suo smoking blu notte Alexander McQueen, un potente distillato della sua personalità. Chissà se alludeva al premio, o al suo status di londinese cresciuto nel benessere di Chelsea, istruito prima a Eton (tra i suoi compagni c'erano il principe William e il collega Tom Hiddleston), poi a Cambridge.

Già da studente, dice la sua biografia, recitava vestito da donna. Un destino? Lili l'aspettava dietro l'angolo?

Inevitabile, se fai teatro in una scuola maschile: ho interpretato un sacco di parti femminili, da ragazzo. Ero identico a mia madre. Avevo abbastanza talento nella musica e nelle arti, ma ero anche bravo negli sport. Ho però sempre percepito che la gente intravedeva qualcosa di femminile in me. Ci sta. E grazie al cielo i miei compagni non ci hanno mai trovato niente di strano.

E un giorno mentre girava Les misérables, il regista Tom Hooper le mandò il copione di The danish girl...

Lo trovai profondamente commovente.

Poi, fedele al suo corso, il destino le ha fatto incontrare la regista transgender Lana Wachowski, che l'ha diretta in Jupiter ascending.

Che donna straordinaria. Avevo già in mano il copione di The danish girl, ma il film sembrava non dover mai decollare. Eppure, la storia di quel pittore così tenacemente deciso a diventare donna era ormai nei miei pensieri. Ho iniziato a parlare con Lana di Lili e lei, con pazienza e gentilezza, ha guidato la mia formazione, mi ha anche segnalato dei libri da leggere.

Prima di indossare le gonne e i corsetti di Lili ha conosciuto o intervistato altri trans?

Sì. Tutte persone così gentili e generose da condividere con me la propria esperienza. Apertamente. «Chiedimi qualsiasi cosa», era la prima frase che mi dicevano.

E lei?

Chiedevo. Col ruolo di Lili ero consapevole che mi fosse stata data una straordinaria occasione. Nel frattempo, sapevo anche che, educando me stesso, potevo educare il pubblico. Accidenti, è delicato. Complicato.

Legittimo provare una certa ansia.

Il punto più alto della mia ignoranza, quando ho iniziato, era la convinzione che sesso e sessualità fossero correlati. È questa una delle cose fondamentali che voglio ribadire al mondo: si può essere gay o etero, trans uomo o donna, e queste due alternative non sono necessariamente allineate.

Cos'altro le ha insegnato sul gender il ruolo di Lili?

Questa cosa fondamentale, suppongo. Che è fluido. E anche che non deve essere etichettato.

Infatti nel suo Paese, sui documenti ufficiali, è ormai in uso il prefisso neutro Mx, accanto a Mr e Mrs.

È un altro traguardo. Sa, è come ammettere finalmente di vedere femminilità e mascolinità in tutti gli esseri umani. Questo merita di essere celebrato.