Ci metterete un po' a riconoscerlo: nel suo nuovo film Nessuno come noi, nelle sale dal 18 ottobre, Alessandro Preziosi appare invecchiato. Gli occhi sono cerchiati, la barba ingrigita, le rughe in bella vista. D'altronde la stessa storia narrata è un salto indietro nel tempo, in quell'epoca che, ormai, ci sembra Preistoria: gli anni 90, quando il cellulare ancora non esisteva, Internet non era ancora nato e l'amore doveva fare a meno di Whatsapp e dei social network. Si stava meglio? Si stava peggio? Lo abbiamo chiesto a Alessandro Preziosi, che nel film interpreta il protagonista Umberto: un padre autoritario e un marito annoiato, che finirà per innamorarsi dell'unica persona a lui proibita. L'insegnante di suo figlio.

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Dunque, si stava meglio senza Internet?

Temo di sì. Non vorrei apparire drastico, ma l'uso massiccio dei social network ci sta esponendo a un rischio di depressione globale. Whatsapp, Instagram, Twitter, Facebook: tutte queste realtà rappresentano i non - bisogni dell'altro.

Mi perdoni, ma sembra effettivamente un po' drastico...

Il fatto è che la percezione della realtà, quella che si vede con i propri occhi, si è ridotta a un fittizio buco della serratura. Ribadisco: fittizio. Nemmeno quel buco della serratura ci sembra ormai così reale. Tutto sta diventato opinabile. Nel frattempo, sta dilagando quella che chiamano l'empatia con gli altri dal punto di vista sociale, ma non è altro che il primo passo verso la perdita dell'individuo, del confronto reale. Le persone non si parlano più: preferiscono chattare o scriversi. Si fatica a capire che quella sui social è una vicinanza falsata: le endorfine generate dalle conversazioni online sono finte.

A voler dare retta al film, però, i problemi d'amore sono sempre gli stessi: con o senza social...

Quando ami le cose più difficili sono capire se c'è reciprocità e abbracciare i limiti dell'altro. Se non si è corrisposti, quell'amore diventa illusione, se non addirittura un'ossessione: ci spinge a essere insistenti, ostinati, e così, senza nemmeno accorgercene, ci ritroviamo imprigionati in una gabbia.

Ha mai frequentato queste gabbie o, con il tempo, ha imparato a tenersene alla larga?

Le mie prigioni sono sempre state molto tangibili: avevano ben poco di illusorio, perché mi ritrovavo in relazioni già finite. Me ne sono sempre accorto velocemente.

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Cosa è difficile invece capire come padre?

I genitori sono chiamati a fornire ai propri figli gli strumenti per giudicare il mondo. Questo però non può tradursi in un semplice travaso di contenuti, della serie: mia madre mi ha insegnato questo, io lo insegno a te e così via, di padre in figlio. La sfida sta quindi nel condividere i valori lasciando però che siano i ragazzi a guadagnarsi la verità su ciò che è bene e ciò che è falso. Da padre, mi sforzo di non fare sentire mai giudicati i miei figli: nel rapporto con me, le loro scelte non devono sottostare all'egidia del giudizio paterno.

Da bambino, si è sentito giudicato dai suoi genitori?

Sì, è capitato. Quando un figlio non si sente giudicato, solo allora si sente libero.

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Dopo Nessuno come noi, tornerà in tv con una serie ambiziosa, per Canale 5: Non mentire, adattamento della serie inglese Liar. È stato complesso dare vita a questo personaggio?

Non posso anticipare nulla della serie. Posso però confermarle che è stato appassionante calarmi in questo ruolo: mi sono divertito a costruire il personaggio sotto traccia, giocando sul gioco di specchi tra vero e falso. Come le accennavo, oggi la verità è diventata opinabile e questo film ne è una meravigliosa cartina tornasole. Mediaset inoltre sta investendo molto sulla qualità della sua fiction: Non mentire ne è la prova.

Mi tolga una curiosità: in questa società che ha barattato la verità per le endorfine social, dove tutto è relativo, lei riesce a essere sincero?

C'è una situazione nella quale mento sempre, spudoratamente: ai giornalisti, quando mi fanno domande indiscrete sulla mia vita sentimentale... .