A 11 anni Emma Stone voleva fare l’attrice e oggi ha nel cassetto un Oscar e una coppa Volpi alla Mostra del cinema di Venezia, due film con Woody Allen, l’ultimo con Yorgos Lanthimos. A 13 anni aveva una cotta per Leonardo DiCaprio: dopo poco più di un decennio DiCaprio in persona la baciava, consegnandole l’Oscar per La La Land. A 17, lavorava in un negozio di animali per permettersi i provini a Los Angeles. Oggi, secondo Forbes, è l’attrice più pagata del pianeta. E tutto prima di compiere i trent’anni. Niente di strano, dunque, se una come Emma Stone, quando chiude gli occhi, non immagina più «traguardi di tipo professionale». Per le sue prime trenta primavere, che festeggia il 6 novembre 2018, «mi auguro di realizzare sogni personali», ha confidato in un’intervista all’amica di sempre Jennifer Lawrence, «e non di carriera».

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Intanto, per non farsi mancare nulla, l’attrice ha aggiunto un tassello alla fortunata collezione di esperienze professionali: una serie tv per Netflix, Maniac, distribuita a partire dal 21 settembre 2018 e girata da Cary Fukunaga, genio di True detective. Nei panni di Annie, “ragazza interrotta” indotta dall’astinenza a intrufolarsi in uno speciale programma di test farmaceutici, Stone fa di Maniac il manifesto del suo stesso talento. Con un personaggio ruvido e aggressivo, che nei trip prodotti dalla droga cambia personalità e storia, mutando nell’aspetto e moltiplicandosi nei generi (gangster movie, commedia nera, persino il fantasy), mette un punto al decennio più incredibile della sua vita. E va a capo, ricominciando, giustamente, da se stessa.

Emma Stone, serie tv, Netflixpinterest
Michele K. Short / Netflix
Emma Stone e Jonah Hill nella serie tv Maniac.

Una serie tv dopo l’Oscar: perché?

Cary mi ha voluta incontrare per parlarmi di questa idea completamente folle, senza però entrare nei dettagli. Sapevo solo che avrebbe coinvolto nel cast anche Jonah Hill, e questo mi è bastato.

Dopo aver ricevuto quel premio sente di avere più opportunità, più potere?

Non ho un grande rapporto con la parola potere. Sono grata di avere più possibilità di scegliere. È la condizione migliore per un attore. Ma so anche che è uno stato temporaneo, destinato a cambiare nel tempo. Perciò preferisco concentrarmi sull’idea di poter scegliere più che sulla convinzione di poter avere tutto quello che voglio. Anche perché non è esattamente così.

Parlando di opportunità, le donne nel cinema ne hanno pochine.

Ripetiamolo: hanno meno possibilità di creare film, finanziarli e portarli ai festival. Tutti sintomi di problemi più grandi, che non riguardano solo il cinema.

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Tornando a Maniac, con Hill aveva già lavorato?

Avevo 17 anni, era il mio primo film: Suxbad. Da allora siamo diventati amici. È stato divertente girare Maniac con lui, specialmente l’episodio in cui siamo sposati e lui sfoggia quella pettinatura orrenda, una specie di mullet...

Emma Stone, Jonah Hill, Maniac, Netflixpinterest
Michele K. Short / Netflix
Emma Stone e Jonah Hill in un’altra scena di Maniac, disponibile su Netflix dal 21 settembre 2018.

Lei, invece, da rossa è tornata bionda. Perché?

Ero stata rossa troppo a lungo. Ha accettato al buio la proposta (ora è tornata di nuovo rossa, ndr).

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Ora come definirebbe la serie?

Un progetto rischioso, impegnativo, a tratti disturbante.

Rischioso perché un personaggio come Annie la porta fuori dalla comfort zone?

No, Annie non mi spaventava. Ma non ho accettato di interpretarla pensando alla carriera, alla mia immagine o al bisogno di fare qualcosa di “diverso”. Ero entusiasta all’idea di appropriarmi di un personaggio più a lungo di quanto ti conceda un film.

Immagino sia stato anche faticoso: Annie è un personaggio con molte vite.

Fortunatamente era tutto nella sceneggiatura. E poi mi consultavo con Cary ogni volta che iniziavamo a girare un nuovo episodio. Mi sono divertita a esplorare gli estremi di ogni nuova incarnazione di Annie. Ogni “ciclo”, ogni episodio, mette in scena un aspetto della sua personalità: più che una tossica la definirei una truffatrice, una ladra, una bugiarda. Una donna disposta a fare qualsiasi cosa per sopravvivere.

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Eclettica e chic, Emma Stone aderisce alla perfezione allo stile Louis Vuitton, di cui è testimonial.

Dipendenze: lei ne ha?

Come tutti dipendo dalla tecnologia. Guardare lo schermo di un cellulare produce una sensazione anestetica, ricevere un messaggio è una piccola scossa di adrenalina. È la droga dei nostri tempi. Cerco di tenermi lontana dai social il più possibile, perché mi rendo conto che ti impediscono di vivere il momento, di godere il presente. Ma sarei ipocrita se non riconoscessi che usarli dà piacere. Quando chiudo Instagram mi sento come se fossi uscita dalla palestra. Stessa soddisfazione.

Emma Stone, film, La favoritapinterest
Yorgos Lanthimos
Emma Stone nel film La favorita di Yorgos Lanthimos, al cinema a gennaio 2019.

Ha definito Maniac un’esperienza “disturbante”. Perché?

Perché anche se l’intenzione non è quella di fare un trattato sulla schizofrenia, ma di raccontare una realtà alternativa alla nostra, in Maniac si parla anche di malattia mentale. Tutti i personaggi hanno alle spalle un trauma da cui la loro mente si è protetta, mettendo in atto strategie di isolamento.

Non ci sono personaggi “normali”?

Perché, nel mondo esistono persone normali? Io non credo che esista la normalità come standard mentale. Quello che dice questa serie è molto importante. Se hai bisogno di una pillola, o della terapia, per ritrovare l’equilibrio, va bene. Ma la vera forza che può farti guarire è la connessione con gli altri. L’amicizia, l’amore.

Lei ci crede?

Ho bisogno di crederci. Come tutti, ho il mio mostro interiore.

E come l’ha domato?

Con la terapia, parlando a lungo con gli amici, riscoprendo parti di me che avevo perso di vista. Durante l’ultimo decennio ho attraversato un momento di crisi, non mi ritrovavo più. Ora sto meglio, credo di essere maturata. E resto salda in una convinzione: non penso che un attore debba per forza torturarsi dentro, per recitare bene.