La vodka sempre in borsa, le maniche lunghe a nascondere un corpo pieno di cicatrici: c’è chi dice che la performance di Amy Adams nella serie tv Sharp objects (dal 17 settembre 2018 su Sky Atlantic) sia la più intensa ed emotivamente complessa della sua carriera. Non è nuova a ruoli profondi, come testimoniano anche le sue cinque nomine Oscar, ma in questo thriller disturbante – tratto dall’omonimo romanzo di Gillian Flynn, già autrice del bestseller L’amore bugiardo – riesce a convogliare alla perfezione l’annichilimento e il dolore di chi si è caricato sulle spalle un pesantissimo bagaglio di traumi.

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Pascal Le Segretain//Getty Images
Amy Adams, 44 anni, al party degli Oscar 2017.

La miniserie in otto puntate, che racconta l’indagine di una giornalista alcolizzata su un doppio omicidio, è diretta da Jean-Marc Vallée (regista di Dallas buyers club e della serie tv Big little lies) e vede Amy Adams per la prima volta nel ruolo di produttrice esecutiva. «Erano anni che volevo lavorare con Gillian», racconta Amy alla presentazione della serie a Beverly Hills. «Le sue donne hanno difetti e imperfezioni, ma questo le rende maledettamente reali». In altre storie – come The master, The fighter, Big eyes – Adams sembrava un po’ “una grande donna dietro un protagonista uomo”. In Sharp objects, invece, lo show è solo suo. «Come diceva Eleanor Roosevelt, nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo permesso. Sono un’attrice, non mi nascondo dietro nessun uomo. Cerco di fare al meglio il mio lavoro, anche quando mi offrono ruoli di supporto. Ma adesso era ora di produrre in prima persona».

Amy Adams in Sharp objectspinterest
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Amy Adams in una scena della miniserie Sharp objects.

Il suo personaggio, Camille Preaker, ha problemi di alcol e un passato di autolesionismo. Come si è preparata per un ruolo così?

Non ho bisogno di subire un trauma per immaginare o cercare di comprendere il dolore che si potrebbe provare. Mentre giravamo, ho passato sei mesi difficili: quando tornavo a casa la sera, spesso avevo voglia di piangere. Nonostante la tristezza, sapevo di aver fatto bene il mio lavoro: Camille non è capace di esternare il proprio dolore, e io soffrivo in silenzio come lei. Ho anche avuto problemi di insonnia, mi svegliavo alle tre del mattino e venivo posseduta dalla sua stessa ansia. Ho dovuto lavorare parecchio per cercare di tenerla lontana, soprattutto dalla mia famiglia.

Ecco: come gestisce questi ruoli in famiglia?

Avendo una figlia (Aviana, 8 anni, ndr), ho dovuto cambiare il rapporto con il mio lavoro. Ho imparato a recidere ogni legame con il set non appena finisce la giornata. E non è facile, soprattutto con un progetto come questo, nel quale le donne hanno un bagaglio di storie tristissime alle spalle e cercano a tutti i costi di trovare rifugio nell’amore, inutilmente. Devo ringraziare mio marito Darren (Le Gallo, attore americano, ndr) che appena può mi raggiunge con nostra figlia. Abbiamo capito che abbiamo bisogno di stare vicini, sostenerci a vicenda nei momenti difficili.

Amy Adams Honored With Star On The Hollywood Walk Of Famepinterest
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Amy Adams con il marito Darren Le Gallo e la figlia Aviana.

Interpretare un’autolesionista non dev’essere facile.

Gillian Flynn mi ha consigliato di leggere A bright red scream, un saggio che raccoglie testimonianze di ragazzi che si tagliavano. È un disturbo che mi rende molto triste, perché colpisce adolescenti che cercano di alleviare un dolore, di sopravvivere a un trauma, infliggendosi un’altra pena. E purtroppo accade più di frequente di quel che si crede.

Sharp objects è stata anche la sua prima esperienza come produttrice. Come è andata?

È stato interessante, a volte dovevo recitare e cercare di non assumere il ruolo di produttrice e viceversa. Mi è piaciuto molto poter chiedere una pausa di quindici minuti per far rilassare tutti sul set. Sembra una cosa piccola e insignificante, ma per me era importante. Come attrice sono responsabile del mio personaggio, ma come produttrice devo avere un quadro generale della situazione, che non riguarda solo le mie battute. È stato bello poter esprimere la mia opinione, scambiare idee, che a volte erano valide e altre meno. Per me è stato importante avere un dialogo creativo con persone che volevano tutte la stessa cosa: fare un lavoro dei quali andare fieri. È un ruolo che mi piace, al quale mi posso abituare e che voglio continuare a esplorare.

Il suo primo ruolo importante è arrivato relativamente tardi per gli standard di Hollywood. Ha mai pensato di aver scelto il mestiere sbagliato?

Quando ho fatto Prova a prendermi di Steven Spielberg avevo 28 anni. Mi offrivano provini, ma sceglievano sempre qualcun’altra. Passati i trent’anni, ho quasi mollato tutto: ero stanca di essere triste, infelice e insoddisfatta della mia vita. Ho pensato più volte di non appartenere al mondo del cinema, che sarei dovuta tornare a New York e ricominciare con una carriera teatrale. E poi invece, fortunatamente, è arrivato Junebug, che mi ha cambiato la vita. Non bisogna mai avere paura di inseguire le proprie passioni.