Cominciò da una finestra. Quella nel suo vecchio studio, in cima alla cima di Solomeo. Da lì Brunello Cucinelli guardava lo squarcio d’Umbria che gli si apriva davanti, e non era contento: l’armonia della valle era interrotta da orrendi capannoni inseriti come se nessuno guardasse. «Io sono nato qui vicino, in una famiglia di contadini», mi racconta davanti all’immensa parete a vetri del suo nuovo studio, nel quartier generale dell’azienda trasferito a valle. «Avevamo un podere che era come un parco, perché l’ordine è la prima legge del cielo. Quando tiravo i buoi col mi’ babbo, lui si raccomandava sempre: “Fammi stare nel solco, perché così è più bello”».

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Matteo Carassale

L’idea folle davanti a quella finestra – «Mia moglie me l’ha detto subito: tu sei matto» – è diventata il Progetto per la bellezza della Fondazione Brunello e Federica Cucinelli: una riqualificazione del territorio sotto la collina di Solomeo attraverso la realizzazione di tre parchi: quello dell’Industria, dove prima c’erano i dannati capannoni; l’Oratorio laico: dedicato alle attività sportive, con uno stadio tra i prati; e il Parco agrario: 70 ettari destinati a vigne e ulivi, frutta e verdura. Il 4 settembre 2018, a Solomeo, Brunello Cucinelli ha festeggiato con un grande evento la fine dei lavori.

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Matteo Carassale

Ci sono voluti quattro anni: è soddisfatto?

«Io ero soddisfatto quando facevo il contadino e i solchi mi venivano dritti. Ero soddisfatto quando giocavo a carte al bar e una bella giocata mi procurava la stima dei vecchi. Da industriale, tutto quello che faccio vorrei farlo bello. Quella (una costruzione oltre il giardino, piena di vetrate, ndr) era una fabbrica degli anni Settanta: senza finestre. La gente che ci lavorava non vedeva mai il sole. Venivano a lavorare ogni mattina e per tutto il giorno, tutti i giorni, davanti agli occhi trovavano un muro. Io invece voglio metterti davanti al cielo: un giorno piove, un giorno sono fiorite le rose, un giorno sono arrivate le rondini. Voglio provare ad alleviare un po’ della durezza della vita. Il luogo di lavoro è una cosa che abbiamo sempre curato poco: ci han chiuso nei capannoni perché non dovevamo alzare gli occhi, sennò si perdeva tempo. Ma Rousseau diceva: l’essere umano è creativo solo quando tutto intorno a lui è in pace col creato. Io passeggio con un taccuino in tasca: mi segno una cosa, mi viene un’idea. E mi rovino, perché poi voglio fare tutto. Ma se quando morirò mi scriverete come epitaffio “Ha amato la bellezza” sarò proprio contento. “Una persona perbene che ha amato la bellezza”».

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Matteo Carassale
Una veduta della valle di Solomeo, dove ha sede l’azienda di Brunello Cucinelli.

La conversazione secondo Brunello Cucinelli non è una cosa che può avvenire in fretta. Le mie (rare) domande sono un pretesto per collegare i ricordi mitici d’infanzia a progetti di respiro sterminato, citare a memoria grandi pensatori – sono ovunque: sulla parete piena di ritratti, nei busti di marmo di un pantheon mai completo, nei libri che mentre parla impila sulla scrivania e poi mi regala, per «riempire di bellezza il viaggio di ritorno» – e scandire piccole saggezze da bar nel perugino morbido dell’ovest. Pensa solo in grande: considerando quel che ha fatto fin qui, con qualche ragione. Nel 1978 aveva 25 anni, e l’idea inaudita di mettersi a colorare il cachemire: quarant’anni dopo la Brunello Cucinelli è un’azienda quotata in Borsa che produce abbigliamento e accessori di lusso. E Solomeo un laboratorio di capitalismo neoumanistico, come lo chiama lui: «Entriamo alle otto del mattino e nessuno timbra il cartellino. Siamo in 1.700 e all’una precisa – ti posso garantire – andiamo a pranzo, fino alle due e mezzo. Alle cinque e mezzo si va via. La sera e nel fine settimana è proibito essere connessi. E nei nostri uffici di New York si respira la stessa atmosfera. Poi, certo: se c’è una cosa importante mi chiami, ti chiamo. Ma volevo ritrovare il giusto equilibrio tra il lavoro e la vita. Se ti faccio lavorare troppo, ti rubo l’anima».

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Matteo Carassale
Il maestro sarto della scuola di arti e mestieri di Brunello Cucinelli.

Ma nell’epoca della reperibilità non bisogna essere reattivi e connessi?

«Se mi siedo vicino a te per dieci ore, ti dimostro che almeno il 20 per cento del tempo tu lo dedichi a niente. E sai a chi lo rubi quel tempo? A te, alla tua anima, alla tua famiglia. San Benedetto dice: “Cura ogni giorno la mente con lo studio, l’anima con la preghiera e il lavoro”. Qui abbiamo messo in atto la regola benedettina, se vuoi. Io sono cresciuto in campagna, senza acqua corrente, senza luce: l’unica cosa che la sera potevi fare era guardare le stelle. Quando ci siamo trasferiti in città, mio padre è andato a lavorare in fabbrica, umiliato e offeso. E no, ho pensato: io voglio fare una cosa diversa».

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Matteo Carassale
Un’impiegata della produzione tecnica di maglieria.

Se non avesse fatto il magliaio, cosa avrebbe fatto?

«Io ho studiato – anzi: non ho studiato – ingegneria, ma il mio sogno era fare l’architetto restauratore. Infatti restaurerei tutto. Il teatro che ho costruito nel 2008 è progettato a mille anni. Non sono un consumatore, sono un utilizzatore delle cose: tutto quello che acquisto penso di lasciarlo in eredità, e di questa bellezza mi considero il custode. Lo dico sempre alle mie figlie e ai loro mariti: guardate che quando muoio dovete restaurare questo e quello. Sennò vengo giù la notte, e poi peggio per voi. Ma sono molto contento di loro: sono persone buone. Lavorano con me, hanno scelto di vivere qui. E nel borgo è tutto più umano. “Dobbiamo tornare nei borghi e riprogettare l’umanità”, diceva Rousseau. La vita nel borgo è la piazza, il baretto: è dibattito».

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Matteo Carassale
Un’addetta alla produzione-confezione.

Però il dibattito online non ha portato miglioramenti.

«Perché non è un dibattito: è uno sfogo. Io credo che l’essere umano nasca con un certo mal dell’anima, e questo rumore informatico lo appesantisce. Oltre alla vita pubblica, abbiamo necessità di una vita segreta. Che non significa avere cose da nascondere, ma... tu non vorresti baciare qualcuno che non ti vede nessuno? Io non voglio avere i tuoi dati, non voglio essere invadente. Ci sono mille strade per avere successo: io voglio adottare la metodologia dell’umana riservatezza. È il tema della nostra nuova campagna, ma soprattutto è un’evoluzione necessaria. Tanto che dal 25 settembre sarò a San Francisco, al Dreamforce di Marc Benioff, per discutere proprio di questo. Umana. Riservatezza. Nella storia va così: ci sono i pionieri che lo capiscono per primi, poi c’è l’avanguardia, e infine il popolo».

Infatti va molto di moda il digital detox: la vacanza nell’eremo senza connessione.

«Ma io non voglio andare nell’eremo in cima a un monte! Io voglio farlo nel mio paese, nella mia azienda, a casa mia. Anche perché la colpa mica è degli altri, è tua. Lo vedo con gli amici del pallone: i gruppi, fanno. I gruppi! Se ridi a mezzanotte guardando il telefonino non stai lavorando, sennò non rideresti. E dire «Non ho tempo» è spesso un modo per dire «Non sono interessato»: una scusa. Poi, sì, c’è anche il problema di quando lavori e ti arriva un messaggino: vai a guardare, e quella concentrazione non la ritrovi più. Ma pure tutte queste informazioni – le notizie catastrofiche, il numero dei morti – a che servono? A me il chiacchiericcio non interessa. Sono un uomo del mio tempo: il mio telefono è sempre acceso, ma mi aspetto che mi chiami quando immagini di darmi meno fastidio. Che tu ne faccia un uso garbato».

Qualche giorno dopo, leggendo un libro sui vantaggi creativi del sapere il meno possibile – New dark age: technology and the end of the future, di James Bridle – ripenso a quello che ci siamo detti. Vorrei parlargliene, e ci metto un pomeriggio a stabilire quale sia il momento di minor fastidio per un uomo convinto che «l’80 per cento delle telefonate che ricevi ti disturbano». Mi risponde disponibilissimo, e piuttosto d’accordo: «Abbiamo sostituito l’istruzione all’educazione. E l’istruzione comporta l’essere sempre aggiornati. Ma diceva Adriano imperatore: la quotidianità uccide l’uomo. Invece di educare ai grandi ideali, noi trasferiamo ai figli l’obbligo della paura. Bisogna fare un passo indietro». Pertanto voi adesso siate pioniere: smettete di leggere, e alzate gli occhi al cielo. È più bello, converrete.

La storia di Brunello Cucinelli in un libro

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Courtesy photo

Solomeo, patria di Brunello Cucinelli, è al centro dell’autobiografia che esce per Feltrinelli: la storia «di un contadino che, partendo dalla sua tradizione culturale, e rimanendole costantemente fedele, ha dato vita e infine realizzato un sogno imprenditoriale e umanistico».