Le Forbidden Words Illuminated, le parole proibite dall'amministrazione Trump che si trasformano in neon da parete (come vulnerable, entitlement, diversity, transgender, fetus, ndr) e lampeggiano con potenza e vigore, facendo luce sulla controversa tematica della libertà di espressione, uno dei principi fondamentali della costituzione americana, ultimamente vacillante. Un video registrato durante le proteste a Washington D.C. contro l'insediamento dell'attuale Presidente degli Stati Uniti (e le sue posizioni anti-democratiche) con focus sulla leggendaria Marcia delle donne, che ha riunito un melting pot di generi, razze, culture, orientamenti sessuali, affiliazioni politiche, ma con gli stessi ideali. La personale di Andrea Bowers alla Galleria Kaufmann Repetto di Milano delle scorse settimane (intitolata Disrupting and Resisting) racchiudeva i principi guida della sua arte, legata imprescindibilmente all'attivismo politico e sociale. Arte come messaggio, arte come sostegno delle minoranze, arte come portavoce dei diritti delle donne, arte come difesa della democrazia, dell'immigrazione, della diversità. Passeggiando per la High Line di New York, in questi giorni non si può non notare l'installazione di Miss Bowers in supporto dei DREAMers (immigrati che sono sbarcati negli Stati Uniti in tenera età senza documenti ma cresciuti negli USA) composta da un'insegna al neon che recita We are 11 Million / Somos 11 Millones, che è il numero di immigrati privi di documenti attualmente negli Stati Uniti. Arte come protesta (non violenta) e definizione del sé.

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Nata a Wilmington (Ohio) ma di casa a Los Angeles, Andrea Bowers focalizza il suo lavoro sulla convergenza tra arte e attivismo utilizzando una varietà di strumenti tra cui principalmente disegni, installazioni al neon e video. Le sue opere sono nelle collezioni di The Hammer Museum of Art, Los Angeles, MoMA, New York, The Whitney Museum of American Art, New York, The Hirshhorn Museum e Sculpture Garden, Washington DC, The Museum of Contemporary Art, Los Angeles. (M.A.M.). «Sono orgoglioso del moniker "femminista"», scrive la stessa Bowers sul sito del Brooklyn Museum parlando della sua idea di arte e del suo essere associata alla battaglia rosa (e al #metoo). «È come se vivessimo di nuovo negli anni '50 con l'amministrazione Bush, in un'atmosfera più conservatrice che mai. Questa amministrazione sta cercando di bandire l'insegnamento intelligente nelle scuole pubbliche, bandire l'aborto, intercettare illegalmente i telefoni delle persone e leggere le loro e-mail. Questo conservatorismo ha permeato l'intero Paese e inevitabilmente ha un'influenza internazionale. Nel mondo dell'arte, ma non solo, la discriminazione di razza e genere sta prosperando, e questo mi rende molto addolorata. Se così non fosse, le donne non avrebbero paura di chiamarsi femministe».