Se siete state bambine negli anni 80, sapete già tutto quel che state per leggere. Quello è il decennio in cui Carlo Vanzina si è occupato della nostra educazione sentimentale, fornendoci tutt’un repertorio di donne nelle quali identificarci subito o poi.

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Carlo Vanzina

Come si riconosce un capolavoro? Dal numero di battute che sappiamo a memoria? Da quante volte ne abbiamo cercato le scene su YouTube? Più di tutto, credo, dal fatto d’essere, noi che guardiamo il film, tutti i personaggi sullo schermo. In stagioni diverse della vita (ma a volte anche nello stesso pomeriggio), guardando Sapore di mare siamo Isabella Ferrari, che se sospetta il fidanzato la tradisca si strugge, ma poi è la prima a tradirlo; siamo Marina Suma, che s’illude la cotta estiva basti ad annullare le distanze di classe tra lei e il ragazzo della famiglia-bene milanese; siamo sua madre, che spera quella cotta della figlia porti vantaggi per tutti, a mezzo matrimonio da arrampicatori sociali; e soprattutto siamo Virna Lisi, magnifica illusione per il ragazzino che vuole inscenare il proprio Laureato, magnifico esemplare di borghese ignorante ma velleitaria che confonde Hemingway e Scott Fitzgerald, magnifica rivelatrice di verità: «Ho letto che quarant’anni è una gran bell’età», «Eh, sì, l’ho letto anch’io: sono tutte fregnacce».

Carlo Vanzina, che è morto domenica 8 luglio a 67 anni, diceva che il suo film migliore era Il pranzo della domenica (2003), ma si sa che il giudizio d’un autore sulla propria opera vale infinitamente meno di quello di legioni di ragazzine che imparano a fare la gatta morta dall’Antonellina Interlenghi di Vacanze in America («Roba da matti: m’aveva tampinato per tutto il viaggio, e al momento de fa’ roba aveva deciso de fa’ la santa. Valle a capi’, le donne», sospirava Claudio Amendola: era il 1984, eravamo troppo piccole per capire intellettualmente la dinamica, ma avevamo l’età giusta per assorbirla istintivamente); o che apprendono i rudimenti della lotta di classe da Amarsi un po’, un film che ci ha insegnato che, se una ragazza di buona famiglia si prende una cotta per un proletario, a rimetterci è sempre il proletario. Era sempre il 1984, e non è un errore di stampa: di miracoloso – oltre alla capacità di creare battute citabili, personaggi memorabili, e spirito del tempo – negli Anni 80 dei fratelli Vanzina (i film diretti da Carlo sono tutti scritti col fratello Enrico) c’era la produttività. Nel 1983, per dire, il trentaduenne Carlo Vanzina, all’età alla quale un regista normalmente s’arrovella su come debba essere il proprio capolavoro d’esordio, diresse senza tante chiacchiere quattro film, e due erano Sapore di mare e Vacanze di Natale, che avrebbero segnato la commedia all’italiana per i decenni successivi.

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Carlo Vanzina, a destra, con il fratello Enrico.

Amarsi un po’ – quel mirabile trattato sulla lotta di classe in cui Cenerentola era un maschio (Claudio Amendola) e il principe era una principessa compostamente capricciosa – fingeva d’essere una commedia romantica: una costante di Carlo Vanzina era nascondere la morale così bene da illuderci che non ci fosse. Via Montenapoleone (1987) fingeva d’essere un film sul mondo della moda e i suoi incroci con l’alta borghesia milanese, ma era una storia in cui, più di trent’anni fa, un uomo (Luca Barbareschi) fingeva di non essere gay per non dare un dispiacere alla mamma; e alla fine quella era molto più illuminata di lui, e con un saldo senso delle priorità: quando il figlio tenta il suicidio per amore, Valentina Cortese corre al suo capezzale a spiegargli che troverà un altro, «magari con un filo di eleganza in più, con un po’ più di poesia».

Quando qualcuno muore ci si raccontano aneddoti, e il migliore me l’ha raccontato Fiorello. Capodanno a Cortina, lui si guarda intorno e dice «Carlo, mi sembra d’essere in un tuo film», Vanzina gli risponde: «Anche a me». Raccontava quel che conosceva, riconosceva quel che raccontava. Ci si potrebbe dilungare su quanto precisamente i Vanzina abbiano ritratto Roma (Le finte bionde, 1989) o Milano (Sotto il vestito niente, 1985, strugge di nostalgia nella scena d’una sfilata di Moschino in una stazione Centrale che è ancora quella mirabilia architettonica che era prima dello scempio dei tapis roulant); sulle loro donne forti (dalla Marina Lante della Roverei nterpretata da Carol Alt in I miei primi quarant’anni, all’Athina Cenci di Yuppies) o deboli (la Fenech in Vacanze in America); sulle metafore politiche nascoste in matrimoni messi in scena apparentemente solo per far ridere (la dinamica tra la Sandrelli e Guido Nicheli in Vacanze di Natale è un pronostico della dialettica destra-sinistra nei decenni successivi).

Ma la verità è che, per chi è stata piccola nella loro età dell’oro, i Vanzina sono un pezzo di paesaggio. Non si può fare critica culturale sulla propria formazione sentimentale. Ci si può solo immedesimare in quel finale di Sapore di mare in cui il figlio le chiede «Com’era ai tuoi tempi?», e Virna Lisi risponde: «Mi sembra di ricordare che ci batteva il cuore».