L’accento veneto si sente distintamente: spettina le soppesate parole dell’intervista, rompendo i ranghi del discorso, quasi a volersi portare dietro una ventata del proprio passato ribelle. Più lo ascolti parlare, e più ti convinci che Francesco Lorenzi, frontman dei The Sun, ha deciso di trattenere per sé la parte migliore dei suoi trascorsi punk: quell'accento spettinato, ossia quella voglia di cambiare le regole del gioco, quella sfrontatezza tipica di chi ama la franchezza e la verità a tutti i costi. Nel bene e nel male. Oggi la sua band, The Sun, è diventata un caso nel panorama musicale italiano, imponendosi come realtà a cavallo tra due mondi: quello commerciale e indipendente. La band macina infatti numeri da capogiro, ma è snobbata dagli eventi discografici che contano. Vanta un passato punk, al quale fa da contraltare un presente rock e di fede. Ha il sound dei grandi successi radiofonici, ma i testi affrontano le grandi domande esistenziali. Tra i successi più famosi: Onda perfetta, Non ho paura e Il mio miglior difetto. Il gruppo, tra l’altro, non è nemmeno un fuoco di paglia: con i suoi quattro amici, il batterista Ricky, il bassista Lemma e i chitarristi Boston e Andrea, Lorenzi è andato molto lontano. Quest’anno i The Sun tagliano infatti il traguardo dei 20 anni di attività: un periodo che racchiude gli esordi degli anni 90, con la band ancora ventenne che giganteggiava sui palchi internazionali, e il presente da rock band cattolica, la cui quotidianità è cambiata profondamente. Un membro della band, Matteo Lemma, si è perfino sposato. Per festeggiare i 20 anni, dal 25 maggio inizia la loro nuova tournée: Ogni benedetto giorno, che celebra per l’appunto la loro storia. Anzi, il loro nuovo presente. Prima tappa, Prato il 25 maggio, per poi proseguire a Sesto San Giovanni, Capranica, Roma..

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Partiamo dal nome: perché Ogni benedetto giorno?
Il tour celebra i nostri primi 20 anni di attività: qualcosa come 7.300 giorni di musica e avventure. Molti di questi giorni sono stati indimenticabili ma in realtà, a ben guardare, sono stati molti di più i giorni normali: è in questi che abbiamo costruito qualcosa di straordinario. Poiché viviamo un’epoca molto liquida, fatta di relazioni mordi e fuggi, desideriamo testimoniare che per ognuno di noi c’è un progetto, pensato e voluto da Dio, e che si può realizzare solo se noi viviamo con consapevolezza, apertura e autentica libertà ogni giorno. Solo così le nostre giornate diventano benedette. Ecco perché abbiamo scelto di chiamare il nostro nuovo tour Ogni benedetto giorno.

Si dice che ci si rifugia nel passato quando il presente non è all'altezza della memoria. Perché nel vostro caso non sarebbe così?
Passato e presente si alimentano l’uno nell'altro: il nostro approccio nasce ed è radicato in un cammino lungo, appunto, vent'anni. Tuttavia lo spettacolo di musica e testimonianze che proponiamo con questo nuovo tour non metterà l’accento sulla storia della nostra conversione bensì sui frutti che questa ha generato. Racconteremo come viviamo oggi, grazie alle scelte fatte ogni benedetto giorno della nostra vita. Probabilmente sarà uno spettacolo meno sensazionale rispetto al precedente, ma credo che si rivelerà molto più utile.

Nel raccontare la vostra esperienza, scendendo nei dettagli delle vostre scelte personali, non c’è però il rischio di scivolare in quel tono predicatorio che (giustamente) rifuggite nelle vostre canzoni?
Lo escludo: in Ogni benedetto giorno facciamo riferimento esclusivamente alle nostre esperienze personali. Non può quindi diventare una predica: al massimo è una condivisione di un’esperienza, fatta in chiave musicale e teatrale, con freschezza, ironia e autenticità. Si resta dunque nell'ambito della testimonianza: il discorso può evolvere in un’esortazione, non certo in predicazione.

Non basta quanto già espresso dalle canzoni?
La musica deve essere al servizio della vita. Le canzoni, soprattutto quando si radicano in esperienze reali e personali, possono essere comprese nel loro senso più profondo solo se c’è un racconto che accompagna la musica.

I 20 anni di attività possono anche rappresentare la fine di un’era. Avete la sensazione di stare per inoltrarvi in un nuovo capitolo della vostra vita, personale e professionale?
Assolutamente. Ogni benedetto giorno nasce proprio da questa intuizione: sentiamo che abbiamo già vissuto due vite, ma è adesso che stiamo facendo veramente sul serio.

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Cosa vede nel futuro dei The sun?

Qualcosa della nuova era dei The Sun emergerà già con questa tourné: in qualità di frontman, non dico che ho voluto fare un passo indietro, ma sicuramente ho invitato tutti i membri della band a fare un passo avanti. Le ragioni sono molte, anche di natura pratica, ma la principale è che conosco la ricchezza e la profondità dei miei compagni di gruppo. Da ora in poi, dunque, Ricky, Boston, Lemma e Andrea avranno più spazio sul palco. Sono certo che il solo fatto di essere tutti in prima linea imprimerà un’energia nuova allo spettacolo. Banalmente, non si avrà più l’impressione che sia io a trainare il gruppo: siamo tutti compatti. Siamo una stessa squadra che cammina insieme nella stessa direzione.

A giudicare dal brano Qui dentro me, pubblicato nell'ultimo album 20, verrebbe anche da pensare che il ruolo di leader inizi ad andarle molto stretto..

Qui dentro me è una canzone molte forte e può sembrare strano trovarla all'interno di una collection celebrativa, quale è 20. È stata una scelta voluta, dettata dal rapporto di libertà che caratterizza la band: tra di noi e con i fan. Voglio infatti raccontare tutte le sfumature della vita, comprese quelle che di solito vengono nascoste da chi fa il mio mestiere. L’intenzione missionaria che mi anima ha anche dei lati non piacevoli e io, non essendo un super uomo, posso patirli, esattamente come accade a molti miei colleghi musicisti.

Sta dicendo che un profondo senso di solitudine è l’altra faccia dell’essere famosi?
E' così, soprattutto se sei un cantautore. Per quanto in gruppo ci si possa sentire dei battitori liberi, si finisce per vivere dei momenti di solitudine, generati da una incomprensione di fondo. Ma è una incomprensione intrinseca al ruolo, che non chiede di essere colmata. La canzone racconta questi momenti, quando la croce, che ognuno di noi ha, pesa un po’ di più.


E' difficile elencare delle band rock che abbiano anche una moglie e una famiglia felice: quasi che la vita da palco sia incompatibile con quella privata. Crede che Lemma rappresenti una felice eccezione, oppure questo è un altro tabù che, come band, volete rompere?
Per noi l’amore è un’esperienza necessaria, bellissima e dolorosa: in questi anni, più volte ci siamo interrogati sulla possibilità di intraprendere scelte definitive. Sicuramente Lemma, decidendo di sposarsi, ha rotto un tabù, non solo verso l’esterno ma anche tra noi: abbiamo passato gran parte della nostra vita convincendoci che il matrimonio non fosse per noi. Il percorso di fede ci spinge invece a riconsiderare la cosa e a capire che l’amore è centrale: è una vocazione. Se si è chiamati all'amore di coppia, la posizione lavorativa non può essere vissuta come un’obiezione: non bisogna scappare ma trovare un modo per conciliare lavoro e scelta vocazionale.

A un passo dai 40 anni, non nutrite un po’ di paura verso il vostro futuro?
La paura è intrinseca al cammino, ma a prevalere sono sopratutto la speranza e la determinazione. Sentiamo il peso di questo giro di boa, ma siamo felici.

Quali sono i vostri progetti futuri?

A ottobre andremo in Terra Santa insieme ai nostri fan: abbiamo lanciato l'iniziativa solo alcune settimane fa e già 2/3 dei posti sono stati prenotati. È un’esperienza a cui teniamo molto: Israele è una terra che va vista almeno una volta nella vita. Nel frattempo sto anche lavorando al nuovo album, che vorremmo lanciare nel 2019, e all'orizzonte potrebbe esserci un mio nuovo libro per Rizzoli, visto il successo riscosso da La strada del sole.

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