L’entrata è un piccolo fuoco d’artificio che, col senno di poi, sa di depistaggio. Antonio Banderas arriva veloce, sposta la sedia su cui stazionerà per tutta l’intervista, la controlla con enfasi, poi guarda i presenti con aria malandrina e, sedendosi, dice: «Ho usato il mio sedere per esprimermi molte volte e non vorrei rompermelo adesso». Lui ride, tutti ridono, l’occhio cade lì – sia mai che ci si perda qualcosa di espressivo – e al resto non ci fai caso. Non fai caso ai capelli completamente rasati, al viso un po’ segnato, alle tracce lasciate dal tempo sul sex symbol che fu e che ancora vive nell’intensità di certi sguardi, usciti illesi dall’infarto di un anno fa e dall’incontro con la gallina Rosita dei biscotti inzupposi. Sguardi accesi anche dal personaggio in cui ha stazionato per gli ultimi sei mesi (e a cui deve anche parte della trasformazione fisica): Pablo Picasso (protagonista della seconda stagione di Genius, serie tv prodotta da Ron Howard – l’anno scorso il genio era stato Einstein – in onda dal 10 maggio 2018 su National Geografic Channel ogni giovedì per 10 puntate), da cui confida di non essere ancora uscito del tutto («Essere lui mi piaceva, anche se mi costava cinque ore di trucco ogni notte»).

Antonio Banderas, Picassopinterest
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Antonio Banderas sul set di Genius, nei panni di Picasso.

Siamo a Malaga e non è un caso. Perché, di questa città andalusa, il resto del mondo conosce due facce: quella di Picasso, appunto, e quella di Banderas. Nati lì e diventati, con la fama, epica collettiva di tutti i malagueños. «Ho sentito parlare di Picasso tutti i giorni della mia infanzia. Mia madre mi accompagnava a scuola a piedi. A un certo punto, la strada passava davanti alla sua casa. E lei, all’andata e al ritorno, indicava con il dito e mi diceva: «Antonio, Picasso è nato qui». Era l’unico eroe che avessimo a Malaga, l’unico che avesse combinato qualcosa di importante fuori di qui».

Questa storia era scritta nel suo destino.
In un certo senso sì (narrano le cronache che abbia fatto di tutto per soffiare la parte a Javier Bardem, ndr). Riconoscere il talento fa pensare che nulla sia impossibile. L’idea che un bambino nato a pochi passi da casa tua conquisti il mondo ti convince che anche tu, se lavori, puoi riuscirci.

Lei ce l'ha fatta.
Ovviamente con sacrificio, e solo io so a quante cose ho rinunciato. Ma spero che i bambini di qui, quando mi guardano, pensino: «Se è successo a Banderas, può succedere anche a me».

Sua madre è riuscita a vederla in Picasso?
Purtroppo no. È morta a metà delle riprese. Anzi, morta non è la parola giusta: è scomparsa dopo essersi dissolta per tre anni. Ma va bene: la morte è l’unica cosa certa che abbiamo, va messa in conto.

Banderas, Picassopinterest
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Banderas in una scena di Genius - Picasso.

Il suo cuore come sta?
Mi ha fatto prendere uno spavento. Ora però sto bene.

Sarebbe diventato amico di Picasso?
Credo di no. Quando ero giovane ero terribilmente timido mentre Picasso era sfrontato, sicuro di sé. Forse avremmo potuto esserlo ci fossimo incontrati in altri momenti della vita, più avanti.

Nessuna somiglianza tra voi?
Non molte, a parte un certo rapporto turbolento con le donne e il fatto che entrambi siamo stati sposati due volte. E forse anche un fondo di malinconia.

Che genere di malinconia?
Quella che arriva quando sei lontano. Sua figlia Maya mi ha raccontato che, quando era molto vecchio, lo trovava con lo sguardo perso chissà su quali ricordi. Si avvicinava e gli diceva: «Sei a Malaga, vero, papà?». E lui rispondeva: «Sì». Mi ha ricordato il mio di padre, che è morto di Alzheimer. Quando andavo a trovarlo non mi riconosceva più, ma di quando aveva dieci anni ricordava tutto.

Che altro le ha detto Maya?
Che Picasso con lei è stato padre 365 giorni l’anno. Certo, a modo suo. Per lui tutto diventava arte: la politica, le donne, le relazioni umane. E l’arte veniva prima di ogni altra cosa, anche della figlia.

Banderas, Griffith, figlia Stellapinterest
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Banderas nel 1998 con Melanie Griffith, sua moglie fino al 2014, e la figlia Stella.

Vale anche per lei?
No. Lo capisco, ma io sono diverso. Ho perso tanti pezzi della vita di mia figlia e ancora lo rimpiango. Sono stato via di casa molto per lavoro e dei rapporti li ho rovinati. Ma non sono rimasto solo come lui (il matrimonio con Malanie Griffith è finito nel 2014 e ora ha una relazione con la consulente finanziaria olandese Nicole Kempel, di vent’anni più giovane, ndr).

Portare in scena Picasso nell’epoca del #MeToo è impresa rischiosa, non trova?
No. Picasso è stato la prima rockstar della storia. Le ragazze si presentavano spontaneamente alla sua porta ogni giorno. Lui con le donne era crudele, ma non ha abusato di nessuna. Ha avuto due mogli, che non sono neppure troppe (ride, ndr). Ci sono attori che ne hanno di più in un solo weekend.

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Banderas con Poppy Delevingne, Clémence Poésy e Samantha Colley che interpretano le donne amate da Picasso nella serie tv.

Lei che cosa pensa del caso Weinstein?
Sono stati abusi di potere enormi. Bisogna appoggiare le denunce. Il movimento #MeToo è un’occasione per risvegliare le coscienze. Detto questo, un conto è denunciare gli abusi, un altro è diventare puritani e impedire alla gente di godersi il sesso e fare quello che vuole.

Vale tutto?
Picasso era infedele e non ha mai fatto nulla per nasconderlo. Era crudele, appunto, ma lo era con tutti. Come un pianeta gigantesco attraeva nella sua orbita chiunque gli passasse vicino. Era un vampiro. Credo che sia campato fino a 92 anni, nonostante le sigarette che fumava, perché assorbiva la vita dagli altri.

Lei ha mai la tentazione di fare il vampiro?
Io non ho mai avuto questa ricerca impulsiva di vita: al limite ho riempito di dolore qualche personaggio, ma niente di più. Non ho la sua energia.

Secondo lei perché era così con le donne?
Perché non ha mai ucciso il bambino che c’era dentro di lui: collezionava le donne come fanno i bambini quando vogliono tutto. A 10 anni, è divertente. A 70 non dovrebbe più esserlo, altrimenti fai danni.

E il suo bambino interiore, a 57 anni, come sta?
È ancora lì. Ma ha imparato le regole.

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