Dopo le stragi di Bruxelles e al netto dello sciacallaggio politico, abbiamo qualche certezza in più su come combattere il terrorismo islamista. La guerra all'Isis non si fa chiudendo le frontiere e restituendo potere ai governi nazionali, ma attraverso una forte cessione di sovranità dei singoli Stati all'Europa, con l'obiettivo di istituire  un'intelligence unica e forze di sicurezza transnazionali. L'obiettivo ottimale è un sistema di difesa federale sul modello americano, al quale aggiungere una legislazione unitaria in materia di fermi di polizia, raccolta e uso delle prove e dispositivi di sicurezza degli aeroporti.

Serve poi buona accoglienza e più integrazione: non è buonismo, è pragmatismo. I terroristi responsabili degli ultimi attacchi terroristici a Parigi e Bruxelles vengono da periferie ad altissimo tasso di disoccupazione e hanno avuto percorsi criminali comuni prima di convertirsi al jihadismo. Nessuno di loro è arrivato su un barcone, nessuno è cresciuto in moschea. Tutti si sono indottrinati sul Web e qualcuno ha poi fatto viaggi di addestramento in Siria, ma con un bel passaporto europeo in tasca. Quindi il problema non è sigillare le frontiere esterne dell'Ue, né bloccare la costruzione dei centri di culto musulmano. Chi oggi invoca la cacciata degli "islamici" fa propaganda di bassa lega: il tema non è mandare via i migranti ma integrarli, per limitare le sacche di malessere e delinquenza. Chi vuole chiudere le moschee finge di non sapere che servono a garantire maggiore trasparenza, mentre vietarle porta alla proliferazione di sedicenti centri culturali clandestini e difficilmente controllabili. (Nella foto, l'ingresso alla moschea di Lodi per la preghiera del venerdì). 

Mai come oggi in Europa l'Islam moderato va sostenuto e rafforzato come principale anticorpo al fondamentalismo. Il piano dello Stato islamico è infatti chiaro: le stragi devono alimentare l'islamofobia e questa deve, a sua volta, fabbricare nuovi terroristi, in una spirale mortale e senza fine.