Quindici anni fa lavoravo in una redazione televisiva. Un giorno, davanti a tutti, un tizio mi dà un ceffone. Non succede nessuna delle cose che succederebbero oggi di fronte allo stesso episodio: nessuna ferma condanna dell'episodio, nessuna retorica contro la violenza sulle donne, nemmeno l'allontanamento del cretino dall'ambiente di lavoro. Anzi, sono io che me ne vado (restereste in un posto in cui vi schiaffeggiano?), e la responsabile del programma – che, giuro, si presenta ancor'oggi come "femminista storica" – dice una frase che oggi nessuno oserebbe pronunciare in nessuna circostanza: «Eh però pure tu, te le cerchi». 

Non è vero che serve la sensibilizzazione, che bisogna spiegare bene che non si fa, che la violenza sulle donne si risolve educando i maschi. Sanno tutto quel che c'è da sapere: che non va bene picchiare o stuprare o ammazzare è chiaro almeno quanto lo è che è illegale rubare una macchina. Le macchine vengono rubate lo stesso. Nessuno invoca sensibilizzazione nelle scuole contro i furti. E, se lasci le chiavi attaccate, può pure essere che qualcuno dica che te la sei cercata: non per questo sta assolvendo il furto. 

Siamo molto più sensibili di quindici anni fa (per non parlare del secolo precedente), è confortante per chi subisce violenza, ma non aiuta a risolvere la questione. La violenza è un reato, non un attestato di merito per la vittima: non accade solo alle sante, alle immacolate, alle migliori di noi. Come per ogni reato, c'è la possibilità che la vittima simuli. Non c'è bisogno di aver letto L'amore bugiardo, o di aver visto il film, per sapere che si può decidere di distruggere la reputazione di qualcuno facendosi fotografare con un livido. 

Prendere in considerazione il fatto che magari un'attrice che accusa l'ex di violenza menta, o che l'ex fidanzata di un cantante imbastisca una storia di botte solo per rovinarlo, non è una lesione del sacro diritto delle donne a non essere maltrattate. È il modo per cominciare a trattare i reati come quello che sono: reati. E magari smetterla col dualismo per cui la vittima viene santificata sui giornali prima che sia stato provato che è tale, e il carnefice non viene fermato mai, se non quando è troppo tardi.