Lena Dunham ha compiuto trent'anni. E, come accade a tutte quando cambia la prima cifra dell'età e si entra in un decennio nuovo e si vogliono fare dei bilanci (un desiderio rischiosissimo), è andata a curiosare tra le cose della se stessa giovane. Si è messa a sfogliare i diari di dieci anni prima, quando stava per compierne venti. Siccome non si è Lena Dunham – una trentenne multimilionaria che è diventata tale rendendo collettivi i propri tic – se non si è disposte a fare di tutto quel che accade, ma proprio di tutto, materiale narrativo, Lena quei diari li ha subito pubblicati. Per beneficenza: i proventi delle vendite (su Amazon l'ebook, Is it evil not be sure?, è a 2,99 dollari) andranno a Girls write now, un'associazione che aiuta le giovani aspiranti scrittrici a realizzarsi (insomma: la Lena Dunham in atto fa la benefattrice delle Lena Dunham in potenza).

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Sfogliando i vecchi diari, ha osservato, le sembra di poter dire che la sua prosa risentiva dell'influenza di Joan Didion, che leggeva tanto in quegli anni: molti a capo, molte frasi tronche, molti pensieri ellittici. Lena dice che sembra il genere di prosa nato nell'era di Twitter – che però allora non esisteva, e quindi dev'essere per forza l'effetto-Didion. Non so come fosse essere ventenni dieci anni fa, ma vent'anni fa nessuna delle ventenni che conoscevo leggeva Joan Didion – e però scrivevamo tutte in quel modo lì. Leggevamo Marguerite Duras, forse era quella l'influenza, qui in Europa. O forse a vent'anni non puoi che avere pensieri monchi. E non particolarmente illuminanti, non di quelli che ti facciano dire «Si vedeva che era diversa da tutte, che era speciale, che ce l'avrebbe fatta».      

A leggerla oggi, non c'è una riga che distingua la Lena Dunham men che ventenne dalle altre che all'epoca erano come lei e come quasi tutte le ventenni: universitarie smaniose, con velleità artistiche, ambizioni più o meno confuse e una certa determinazione a sentirsi speciali. «Voglio solo quel che mi è dovuto. Voglio solo quel che è mio», scrive nel novembre del 2005. Che sembra una battuta della Hannah di Girls, cioè una cosa che potrebbe pensare qualsivoglia ventenne, cioè il segreto del successo di Dunham: rendere speciale la mediocrità, permettersi ambizioni superiori ai propri talenti, essere la perfetta rappresentante dell'era dell'ego debordante. Forse la lezione che si può trarre da Is it evil not to be sure? è questa: che non bisogna spaventarsi se non si è speciali. Nessuna lo è, e tutte vogliamo essere trattate come tali. Le più cocciute, come Lena Dunham, ci riescono.