Provate a immaginarvi il Male: avrà sicuramente il volto vichingo di Anders Breivik. Il 22 luglio del 2011 ha massacrato 77 civili inermi a colpi di mitra. Fra loro, tantissimi ragazzi. Condannato a 21 anni di detenzione, la pena massima prevista dal codice penale della Norvegia, non ha speso una parola né una lacrima per le sue vittime. Ha assistito impassibile al proprio processo, punteggiando la sua presenza con saluti nazisti. Breivik è un mostro di disumanità. Eppure, la giustizia norvegese ha condannato lo Stato per aver violato l'articolo 3 della Convenzione dei diritti dell'uomo che stabilisce il diritto a un'equa detenzione. Diritto violato dai cinque anni d'isolamento. Tenete conto che la cella di Breivik è un appartamento di 31 metri quadrati, praticamente un monolocale, con palestra, servizi, televisore e computer (ma senza Internet). 

Molti leggono in questa decisione, in tempi di stragi e terrorismo, la prova della debolezza dell'Occidente ultragarantista: anziché ripagare il mostro con la sua stessa moneta, i norvegesi gli rimboccano la coperta e gli danno il bacetto della buonanotte! Non sono per nulla d'accordo. La forza dell'Europa è proprio nell'applicare i diritti a prescindere dalla qualità della persona. Anders Breivik in questo senso è esattamente il metro della nostra civiltà: chi ha emesso la sentenza non ha guardato il suo volto né il suo curriculum criminale, ma soltanto la fonte del diritto. 

Ricordo che l'Italia è agli ultimi posti fra le democrazie occidentali per degrado, sovrafollamento delle carceri e tasso di recidiva dei criminali. Secondo autorevoli studi, sembra che i prigionieri maltrattati, una volta usciti, delinquano di nuovo. In Norvegia li rieducano e il tasso di recidiva è bassissimo. Di sicuro Breivik non è recuperabile. Ma salvando un principio di diritto, i giudici norvegesi hanno tutelato tutti i cittadini.