Ho passato la scorsa settimana a pensare al quoziente intellettivo di Melania Trump. Tutto è cominciato vedendo suo marito in collegamento con la prima donna a capo d'una stazione spaziale americana. La tizia era in orbita, lui era seduto dietro la scrivania presidenziale, e muta e composta e vagamente annoiata al suo fianco c'era Ivanka. Mi sono messa a pensare che, siccome il principale tratto con cui ci distinguiamo da gente come Donald Trump è l'utilizzo di eufemismi (se una non entra nella poltrona dell'aereo è curvy), non diciamo mai che Melania è scema, ma è chiaro che è quello il problema.

Tutti a parlare di nepotismo, per il ruolo dato a Ivanka, quando fuor d'eufemismi la spiegazione è molto più semplice: gli serviva una first lady, e Melania è troppo scema per adempiere al ruolo. E non è che fare la first lady richieda la capacità di scindere gli atomi, eh: si tratta di tenere in ordine il giardino e dire ai bambini d'America che le patatine fritte non possono essere l'unica verdura che ingeriscono. Serve stare lì, composte e sorridenti, e dire una cosa di buon senso ogni tanto. Donald avrà notato che, nelle interviste in cui lo difendeva, Melania parlava inglese come una arrivata in America da 15 giorni; avrà pensato che, persino per dire le scemenze che dice lui, fosse bene non aver bisogno del doppiaggio.

Facciamo tanto quelle che difendono le donne, pensavo, e poi non diciamo niente del fatto che questo cafone rende evidente al mondo che la moglie, poverina, è scema. Poi è arrivato il convegno berlinese coi fischi a Ivanka, che aveva lodato il padre e le opportunità lavorative da lui concesse alle donne. Gli opinionisti discutevano del diritto e del dovere di fischiarti in quanto emanazione di quel tuo parente col nido di passerotti in testa, e a me è venuto un dubbio: forse Melania li ha fregati tutti. Ma certo, cara figliastra: vai avanti tu che hai l'eloquio più forbito. Ma certo, caro marito, non mi offendo se ti affianca tua figlia. E se Melania fosse diabolica?