La vicenda Guidi è un colpo duro per l'amministrazione Renzi. Le dimissioni del ministro per lo Sviluppo economico non bastano infatti a chiudere la vicenda. Che dovesse farsi da parte è evidente: si è trovata in pieno conflitto d'interessi comunicando al compagno lo sblocco di un emendamento che gli avrebbe portato dei benefici. Ma molte domande restano senza risposta. 

Era opportuno nominare ministro dello Sviluppo un'imprenditrice del settore energetico? Se Federica Guidi era a conoscenza dell'inchiesta a carico del suo fidanzato, possibile che non ne abbia parlato con il presidente del Consiglio? Ed è credibile che il premier e i suoi collaboratori non sapessero del legame della ministra con un imprenditore destinatario di appalti proprio nel settore dell'energia? Ancora. Perché l'emendamento da cui è partito lo scandalo – una corsia preferenziale che permette al governo di decidere su infrastrutture petrolifere bypassando Regioni e Comuni – prima è stato bocciato e poi, previo inserimento notturno in un maxiemendamento con voto di fiducia, è stato approvato? Chi e cosa ha determinato questo cambiamento di rotta? 

Il colosso petrolifero francese Total era costantemente informato delle imminenti decisioni governative che lo riguardavano. Si dirà: le lobby servono a questo. Ma ciò che colpisce di questa vicenda sono la mancanza di trasparenza dei processi decisionali e gli innegabili vantaggi acquisiti negli anni dalle multinazionali dell'energia a discapito dell'ambiente. Con i colossi privati si media, non ci si consegna. In Basilicata invece, anche ascoltando il tono gioioso di certi manager intercettati, lo Stato sembra aver fatto di tutto per strappare un sorriso ai petrolieri.