L'ultimo lupo solitario in azione nell'attentato terroristico di Parigi (all'aeroporto d'Orly, il 22 marzo 2017) nel cuore di un'Europa fragile e sotto elezioni, è l'ennesimo balordo in bilico tra delinquenza comune e disagio psichico, la cui cosiddetta radicalizzazione (forse avvenuta in carcere, non una novità) assomiglia piuttosto a un definitivo buttarla in caciara.

La parabola di Zyed B., francese di origine maghrebina che prima ha reagito a un controllo di polizia aprendo il fuoco e ferendo leggermente un poliziotto, poi ha rubato l'auto a una signora «nel nome di Allah», quindi ha raggiunto l'aeroporto di Orly, ha aggredito una soldatessa strappandole l'arma e infine è stato ucciso, ci ricorda che esiste un terrorismo così, un po' di risulta.

Zyed non era un foreign fighter di ritorno, ma un tipaccio con precedenti per crimini comuni. Non un fiche S, che è il codice con cui la Francia scheda gli islamisti ritenuti pericolosi, ma un pregiudicato che dopo averne combinate di cotte e di crude (furto, spaccio, rapina), s'è forse convinto che tanto valeva farsi ammazzare nel nome di dio. Questo almeno pare abbia detto ai militari prima che lo uccidessero: «Sono qui per morire per Allah». Fonti giudiziarie rivelano tuttavia la presenza di alcol e droghe nel suo sangue. E il contenuto dell'ultimo sms, mandato al padre quella mattina, non è esattamente riconducibile a uno stato d'esaltazione religiosa: «Ho fatto una cazzata».