Cara Kate,

finalmente a casa.

Siete stati in Canada una settimana: tu, William, George e Charlotte. E una squadra di 12 addetti al vostro benessere, tra cui: la responsabile di quei capelli da pubblicità, perché tu vali; una guardarobiera infallibile per contratto; l'implacabile tata in capo; una segretaria privata addestrata a tua immagine e somiglianza. Francamente il minimo: siete ricchi, potenti, e in missione per conto della regina.

Siccome coltivo un'idea molto lusinghiera di me stessa, ho pensato per similitudine al mio ultimo viaggio oltreoceano con famiglia: non avevo personale di servizio – a parte mio marito: fenomenale coi bagagli, inetto al pettine – ma neanche (quel figo di) Justin Trudeau, primo ministro, ad aspettarmi in fondo alla scaletta per portarmi ad abbracciare tutti i bambini del Canada, anche quelli sottozero. Io ero in vacanza: la logistica più complicata prevedeva una cambio di metropolitana.

È stato divertente, è stato illuminante, è stato emozionante. Ciò nondimeno la prima cosa che ho fatto appena tornata a casa – prima di disfare la valigia, di fare la lavatrice, di ricongiungermi col bidè in un abbraccio struggente: niente che ci accomuni, mi rendo conto – la prima cosa, con le scarpe ai piedi e le salviette dell'aereo ancora in tasca, è stata: prenotare una vacanza senza figlie. Il prima possibile. Il più lontano possibile.

Dopo una settimana in Canada con tutta la famiglia reale, anche per i duchi di Cambridge è chiaro: quando si viaggia, i bambini devono rimanere a casa.pinterest
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So che mi capisci. Ho visto il passo malmostoso di George, all'ingresso della festa in giardino. Ho visto lo slancio di Charlotte verso la libertà – o più probabilmente: il prato, di testa – mentre tentavi di salutare gli ospiti, abbandonando momentaneamente la doppia presa dell'abbraccio. Ho visto sorrisi di circostanza e sguardi di concertazione dissimulare il terrore più consueto: la tragedia che incombe. Sempre. Senza una ragione né un motivo, senza niente. La differenza tra una merenda e l'inferno è un palloncino che scoppia all'improvviso.

Insomma: questa cosa di andare in viaggio con i bambini è sfibrante. E deve finire. Lo dico per il bene di noi suddite, innanzitutto. Quando eravamo piccole, ci spettavano al massimo due settimane a Sibari in comproprietà: per entrare nel mondo dei grandi servivano 18 anni e un biglietto Interrail. Ma se all'asilo li portiamo a New York per Natale, e alle elementari in Giappone a primavera, questi da soli non se ne andranno mai. Perché dovrebbero? Sono stremati dal jet-lag, e a Sibari si sta così bene.

Ma lo dico pure per il vostro bene, Kate. L'immagine della famiglia giuliva giramondo è impegnativa da mantenere. E se pensi sia un problema di noi senza servitù, chiedi ad Angelina.