Cara Ashley,

dimagrisci, ne hai facoltà.

Non che importi: eri smodatamente sventola sulla copertina di Sports Illustrated – la prima modella grassa! – lo scorso febbraio; sei stata smodatamente sventola in tutte le immagini posate da allora per promuovere la lingerie che disegni (quante mutande devo comprare per avere un seno così?); sei smodatamente sventola nella foto che hai messo l'altro giorno su Instagram, quando hanno cominciato a insultarti perché sembravi – santi numi – un po' più magra. Siccome sei una modella di taglia forte e carattere amabile, hai spiegato che era solo questione di prospettiva, e saperla sfruttare. Al tuo posto, io avrei sbuffato: e anche se fosse?

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Sono stata un'adolescente paffuta, so tutto del body shaming da prima che si chiamasse così. Erano altri tempi: non esisteva neanche il bullismo, e quelli che ti prendevano in giro durante l'ora di ginnastica si chiamavano «maschi» – oppure «stronze», ma ne ho incontrate di meno. Sono stata una ventenne affamata e molto scema, convinta che per diventare Kate Moss bastasse saltare il pranzo. Erano altri tempi: le modelle si usavano struggenti, e nessuno riteneva opportuno sottolineare l'irriproducibilità del prototipo. Sono una quarantenne vanesia: ogni tanto butto soldi in diete detox, ma lo faccio di nascosto dalle mie figlie, e quando parlo con loro del corpo che cambia misuro tutte le parole. Non si dice: bellezza; si dice: salute. Non si dice: mangia di meno; si dice: muoviti di più.

Eppure si vergogneranno. Saranno troppo alte, troppo basse, troppo magre, troppo grasse, piene di peli o senza sedere, col naso storto o le spalle a stampella. Ci saranno giorni in cui vorranno essere invisibili, perché un maschio – o una stronza – avrà guardato con malevola intenzione proprio quel brufolo in mezzo alla fronte. (Oppure fissato senza espressione un punto qualunque nelle immediate vicinanze: è uguale). Ci saranno giorni in cui vorranno essere diverse, e nel tentativo di coprirsi scopriranno cosa vogliono tenere (quantomeno: nell'armadio). L'insicurezza – quella fisiologica – è un privilegio dell'età. Ed è senz'altro più lungimirante di certa tracotanza che rende ogni critica un affronto.

Anche perché, crescendo, ho capito due cose. La prima è che è più difficile difendersi dai complimenti che dagli insulti. Sei dimagrita, Ashley? A me puoi dirlo, mica cambia niente: eri un prototipo irriproducibile anche prima. La seconda è che mi tranquillizza guardare le foto di quando ero ragazzina – pertanto irresistibile – e pensare all'apprensione con cui sistemavo il golf intorno ai fianchi per occultare al mondo l'intera provincia del mio culo. Ma mai quanto guardare le foto dell'altra mattina in spiaggia, quelle in cui il medesimo compare per sbaglio mezzo nudo sullo sfondo, e pensare senza un brivido: «Vabbè, speravo meglio. Per fortuna ho comprato un caftano».