Una cosa che è inutile facciate, sfogliando Brave, è cercare il nome di Harvey Weinstein: non c'è mai. «Mi rifiuto di mettere il suo nome nel mio libro», scrive Rose McGowan, e non è neppure la frase più infantile di un libro che comincia spiegandoci che lei tiene i capelli corti perché rifiuta il cliché della bella donna hollywoodiana, e prosegue dicendo che sì, lei è cresciuta nella setta dei Bambini di Dio (in Italia, dove la fece nascere «un'ostetrica cieca»: che dettaglio da fiaba gotica), ma noi mica dobbiamo sentirci più libere o sane di lei: se ci piace molto una serie televisiva e la seguiamo sempre, sostiene l'autrice, anche quella è una setta.

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Rose McGowan a una presentazione del suo libro.

Il primo incontro col «produttore» (e poi «mostro») arriva a metà libro (in uno dei rari momenti spiritosi del memoir, McGowan lo descrive con l'aspetto «di un ananas squagliato»); a organizzare la riunione è Jill Messick. Era al suo primo impegno come manager dell'attrice, ed è la persona di cui un paio di settimane fa Weinstein ha diffuso una mail, risalente a prima dell'inchiesta di Ronan Farrow per il New Yorker, a prima che il mondo conoscesse Rose McGowan come una delle vittime di Harvey Weinstein. Nella mail, Jill Messick diceva che sì, Rose le aveva detto che quell'incontro era finito in un idromassaggio, ma le aveva anche detto d'essere stata consenziente, e di essersi però poi molto pentita. Nella versione della famiglia della Messick, lei all'epoca aveva comunque capito che Harvey se n'era approfittato e, nonostante la ventiquattrenne McGowan non gliel'avesse chiesto, aveva riferito ai suoi superiori e chiesto loro di occuparsene. La ragione per cui esiste una versione della famiglia è che, dopo la diffusione delle mail, la settimana scorsa Jill Messick si è suicidata.

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La cover di Brave. 
Il coraggio di parlare, HarperCollins, 
pp. 302, € 18.

Rose McGowan sta promuovendo il suo libro: in un incontro con Ronan Farrow ha svelato che, mentre parlava con lui, prometteva rivelazioni anche al New York Times, per spronare Ronan a pubblicare la sua inchiesta col timore di farsela bruciare dalla concorrenza («Ha funzionato», ha annuito Farrow); durante un'altra presentazione, in una libreria newyorkese, una transessuale si è alzata inveendo contro la scarsa solidarietà di Rose con le donne trans. Il giorno dopo, in una serie di tweet, l'autrice ha detto che nessuno del suo staff l'aveva tutelata, che avrebbe annullato il resto delle presentazioni previste, che tutti erano «complici» di quell'aggressione. Su Jill Messick ha taciuto per quattro giorni, per poi dire al mondo che spera la famiglia trovi sollievo.