Cara Gisele Bündchen, sei più carina quando ridi che quando piangi.

Ciò nonostante, anche quando piangi sei uno schianto. La settimana scorsa tuo marito Tom Brady ha perso il Super Bowl. Non è mica facile, per uno abituato a trionfare – ne ha giocati otto e ne ha vinti cinque, oltre a svariati altri riconoscimenti di superiorità ontologica – e orgoglioso di essere il più sbruffone del mondo. Ci sono intere province dell'internet che hanno festeggiato la vittoria di una squadra che non avevano mai sentito nominare (in una competizione sportiva le cui regole ogni anno si fanno rispiegare) solo per il gusto di collezionare foto del suo broncio.

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E che broncio. Non una stretta di mano, non un cenno congratulatorio agli avversari: è andato via subito. E ogni responsabilità di rappresentanza è ricaduta su di te, che in tribuna bevevi vino rosso - presumo biologico, pigiato da usignoli felici, invecchiato in botti di avocado - per prepararti a scendere tra gli umani: piena di grazia. Così alla fine della partita hai applaudito i vincitori, celebrato l'impegno dei perdenti, consolato tifosi e i tuoi bambini: «A volte bisogna far vincere anche gli altri», poveretti.

Saper perdere è il dono degli infallibili. Perciò ignorando i consueti indignati – l'unica reazione socialmente accettata di questi tempi è il frigno, guai a dimostrare un'assennata cognizione dei propri insuccessi – e con un certo sprezzo del ridicolo, l'altro giorno ho provato a fare la Gisele (scusa). Vedi, io ho una figlia prima della classe. In quanto tale è sempre piuttosto fastidiosa, ma diventa insopportabile quando prende un voto meno che superfantastico. Puoi immaginare la solennità con cui mi ha comunicato – pallida, tremante, le maniche della felpa tirate fino alle falangi – la sua prima insufficienza in carriera (sei meno meno).

Come non bastasse l'infido Gianpippetto ha preso sette, dice, ed è andato in giro per tutta la scuola a rendere pubblico il sorpasso, in un tripudio di lazzi scomposti e slogan di rivalsa. Ho provato a spiegarle che non c'era niente di cui vergognarsi, che a tutti capita di sbagliare: Gianpippetto aveva probabilmente studiato di più, e poi a noi mica interessano i confronti. Ma niente sembrava restituirle la fiducia nella giustezza del creato.

Allora mi sei venuta in mente tu, Gisele. Senti, le ho chiesto, ma questo Gianpippetto, coso, quanto ha in pagella? Quattro? Cinque? Ma non è il ciuccio che all'altro compito voleva copiare? Mi sono versata un bicchiere di vino rosso, per aumentare l'enfasi. «E allora stai tranquilla, amore mio: a volte bisogna far vincere anche gli altri». Naturalmente ha funzionato.