Cara Chrissy Metz, la verità è che non piangiamo abbastanza.
Lo so, non te lo aspettavi. Sei famosa tanto da meritare la mia letterina perché dall'anno scorso sei la gemella grassa dei Pearson, i protagonisti di This is us. E This is us è una formidabile macchina da frigno - "Guadagni punti extra se piangi", ve lo dite da soli - costruita su misura per il nostro bisogno di consolazione. È un periodo così fitto di notizie disperanti che è un sollievo avere un posto fisso sul divano, tutte le settimane, per accucciarsi sotto una coperta a singhiozzare. Pure quando il gioco è spudorato e si vedono gli ingranaggi, una è troppo impegnata a tirare su col naso per riuscire a innervosirsi veramente.
In questo ininterrotto piagnisteo tu sei Kate: la cicciona, appunto. La quale ha passato un'intera prima stagione a cercare invano di dimagrire (e di rendersi tollerabile un fidanzato scemo) e adesso vuole diventare una cantante. Solo che siccome è geneticamente incapace di superare i crucci dell'infanzia – è un problema di tutta famiglia: la serie si fonda sull'impossibilità collettiva di elaborare un lutto ventennale – imputa ogni suo malumore all'involontaria precisione con cui sua madre era più magra, più bella, più intonata di lei.
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Quindi affronta la sua prima audizione da donna adulta. O quasi. Va, s'impaurisce, scappa, torna, e infine tutt'assertiva costringe la band a una sessione straordinaria. Comincia - "It's been seven hours and fifteen days", naturalmente: l'inno della perdita irrimediabile -– e viene interrotta dopo 20 secondi: arrivederci, grazie. Lei volta lo sguardo verso la cantante in carica apparente – una discreta sventola – e non ci sta: "Non mi liquiderete così, solo perché non somiglio a quella ragazza lì. Non vi permetterò di prendere una cantante più scarsa solo perché è una taglia 40". Sembra uscita da un manuale di autostima per incomprese. L'impresario non è turbato: sbuffa, raccoglie la pazienza, chiede alla sventola di cantare pure lei Nothing compares 2 U. E quella, in confronto, pare Adele. «Non mi importa che taglia porti», dice l'impresario a Kate annichilita, «è proprio che non sei abbastanza brava».
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Ecco: finalmente. Non è sempre colpa di qualcuno, di qualcosa, della cultura, della società. Non è sempre un'ingiustizia. Le grasse - le vecchie, le madri, le figlie, le donne, e tutte gli appartenenti a categorie a elevata concentrazione di vittimismi - sono persone normali. E pertanto normalmente attrezzate ad assumersi la responsabilità dei propri fallimenti. Senza frigni, ove possibile. Non è commovente?