Vi diranno Kurt Cobain, per darsi un tono sui consumi pop. Vi diranno l'11 settembre, per sentirsi al centro della storia, quella che si pronuncia con la maiuscola. Ma la verità è che il «Dov'eri quando» delle quarantenni di oggi, di quelle troppo piccole per ricordare lo sbarco sulla luna o per dire qualcosa di meno vago di «Ci vennero a prendere a scuola prima» rispetto ad altre date della storia maiuscola (l'attentato al Papa, la morte di John Lennon, il rapimento di Aldo Moro), per noialtre la data del «Mi ricordo esattamente dov'ero» è il 31 agosto del 1997. Non avevamo ancora buttato i giornali in cui, in Costa Azzurra col nuovo fidanzato, Dodi Al-Fayed, Lady D se la spassava (anche se le foto erano accuratamente scelte per farla sembrare malinconica, che dondolava le gambe fuori dalla barca guardando nel vuoto), ed ecco che moriva.

L'avevamo vista sposarsi nelle case al mare, alle elementari; la guardavamo morire nei tg di fine stagione, con le prime piogge. Era il pezzetto di cultura popolare che univa noi – che l'avevamo vista partire paffuta ragazza inglese e arrivare quasi modella, manipolare le corna e uscirne vittima trionfante come le nostre madri non erano mai riuscite a fare, ballare con John Travolta – e le nostre nonne: non ce n'era un'altra che stesse sui rotocalchi che trovavamo nelle loro case quando andavamo a trovarle e anche sui giornaletti che leggevamo noi.

Io avrei compiuto 25 anni sette settimane dopo, quell'anno avevo condotto il mio primo programma alla radio, e già non capivo mai una notizia quando me la trovavo davanti. Chissà perché quella notte ero sveglia, fatto sta che accesi la tv e misi su Tmc, che la notte mandava Larry King, un signore con le bretelle che conduceva uno storico talk-show sulla Cnn. King si era visto piombare la notizia in una puntata già preparata. C'era Steven Seagal – allora star di film d'azione – con qualcosa da promuovere, ma parlavano solo delle colpe dei paparazzi. Non avrebbero detto che Diana era morta fino al mattino dopo, la notte la notizia era che a morire fosse stato solo Dodi, e la linea che io, ottusa, non capivo era: è colpa della caccia alle celebrità, questi paparazzi sono troppo invadenti, bisogna cambiare tutto. Andò avanti per mesi, quella convinzione. Il mio migliore amico dei tempi di scuola sosteneva convinto, mentre guardavamo il funerale, che Elisabetta abbassasse gli occhi umiliata dal passaggio del feretro. Obiettai che mi sembrava controllasse solo che la gonna non fosse spiegazzata, e forse è stata l'unica volta in cui ho avuto ragione: sono passati vent'anni ed Elisabetta e la sua monarchia, che lì sembrava dovesse crollare entro un quarto d'ora, sono ancora solidissime.

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Il principe Carlo con i figli William e Harry al funerale di Lady D.

Ma avevano torto anche quelli che pensavano che una morte così sentita dal pubblico dei rotocalchi avrebbe cambiato il sistema: se non fotografi i famosi, i rotocalchi come li riempi? E infatti vent'anni dopo abbiamo siti di pettegolezzi molto più aggressivi, cellulari con telecamera sempre in agguato, e l'autista di Diana non correrebbe: tanto non si scappa. Però lei, che sapeva manipolare l'informazione come nessuna, sarebbe stata meglio di Beyoncé, nel concederci solo quel che voleva: il suo Instagram sarebbe stato così favoloso che ai poveri paparazzi sarebbero rimasti solo gli avanzi.